AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO SAHARAWI

Successivamente alla Seconda guerra mondiale nasce La Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a conclusione di un lavoro di stesura guidato dalla volontà di evitare il ripetersi delle atrocità commesse.
La Dichiarazione avrebbe portato alla tutela dei diritti umani su scala universale, fornendo le basi per la stesura del: “Patto internazionale sui diritti civili e politici” ed il “Patto internazionale sui diritti economici”.
La Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (meglio noto come Patto internazionale sui diritti civili e politici), è un trattato delle Nazioni Unite, adottato nel 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo del 1976, con cui viene sancito, all’articolo 1, il principio di autodeterminazione dei popoli:
“1) Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale. (…)
3) Gli Stati parti del presente Patto (…), debbono promuovere l’attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello statuto delle Nazioni Unite”.
Principio in base al quale i popoli hanno diritto di scegliere liberamente il proprio sistema di governo (autodeterminazione interna) e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale (autodeterminazione esterna).
Nel diritto internazionale, l’affermazione di tale principio è frutto di un processo graduale e guidato dall’azione dell’ONU a favore della completa decolonizzazione, rendendo crimini internazionali: la dominazione coloniale, l’occupazione straniera e i regimi di segregazione razziale (apartheid) o altrimenti gravemente lesivi di diritti umani fondamentali.
Secondo quanto esposto nel tratto il soggetto titolare del diritto all’autodeterminazione è il popolo come entità distinta dallo stato, poiché si riconosce il popolo come entità originaria, la cui esistenza non è dettata da una legge scritta.
Nonostante questa nuova frontiera del diritto internazionale, nessuna norma giuridica internazionale definisca in modo specifico cosa sia il popolo; solo il Rapporto UNESCO (Doc. SHS- 89/CONF. 602/7, Parigi, 22.02.1990) prova a stabilire dei criteri che differenziano il popolo da altre comunità come minoranze o popolazioni autoctone:
“il popolo è un gruppo di esseri umani, che hanno in comune tradizione storica, identità etnica, linguistica, religiosa o ideologica, legami territoriali, con una vita economica comune e una omogeneità culturale; tale gruppo non deve essere necessariamente numericamente consistente, deve essere più che una semplice associazione di individui, deve desiderare di essere identificato come un popolo o avere coscienza di essere un popolo e possedere istituzioni o altri mezzi per esprimere le proprie caratteristiche comuni e il suo desiderio di identità”.
Solo attraverso l’azione dell’ONU, è stato possibile definire i popoli che avevano il diritto all’autodeterminazione da realizzarsi attraverso l’indipendenza, la libera associazione o l’integrazione ad uno stato esistente, e in ogni caso attraverso la consultazione della popolazione tramite plebiscito o referendum.
A partire dal 1963, anche il Sahara Spagnolo viene incluso nella lista dei territori cui tale principio deve essere applicato: sotto gli auspici delle Nazioni Unite, con la risoluzione del 1972 viene sancito, per la prima volta, il diritto all’indipendenza del popolo saharawi.
Il Sahara occidentale è attualmente il più grande territorio non autonomo del mondo: rappresenta un vasto territorio, ricco di fosfati, probabilmente petrolio/gas, uranio e titanio, mentre lungo la costa atlantica si pratica pesca estensiva.
La popolazione saharawi, frutto dell’unione tra popolazioni locali, ha una cultura tribale beduina e dedita alla pastorizia-nomade; in base alle stime delle Nazioni Unite è oggi di oltre 500 mila persone.
I saharawi vivono divisi, in parte (30 %) nei campi di rifugiati in Algeria e in parte (70%) nel Sahara occidentale sotto il dominio del Marocco, in una zona delimitata da un unico muro (bern), lungo 2.250 km., costruito dalle autorità marocchine tra il 1981 e il 1997, che attraversa e divide il Paese da nord a sud.
Nell’agosto 1974, il governo di Madrid, potenza coloniale del Sahara, informa il Segretario generale dell’ONU dell’intenzione di effettuare il referendum di autodeterminazione del popolo sahrawi, che avrebbe scelto se divenire uno Stato autonomo o annettersi allo Stato marocchino.
Violenta è stata la reazione del re del Marocco Hassan II, che all’annuncio del referendum vede vanificati i suoi disegni di estensione della sua sovranità anche sul Sahara, e indice una marcia di volontari armati, per bloccare iniziative di indipendenza e prendere il controllo di ciò che chiamò le “province marocchine del Sahara”.
Da quel momento dozzine di migliaia di rifugiati saharawi intraprendono l’esodo verso la frontiera algerina sotto la pressione dell’esercito marocchino cui si oppone la resistenza armata del Fronte Polisario (Frente popular para la liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro) che, il 27 febbraio 1976 proclama la Repubblica Araba Saharawi Democratica. La RASD diviene membro dell’Unione Africana, riconosciuta da circa 80 paesi e dalle Nazioni Unite, come rappresentante del popolo del Sahara Occidentale.
Il Marocco invece, raddoppia lo sforzo bellico, con la costruzione di un muro lungo circa 2.000 Km per isolare la popolazione sahrawi, dopo anni di guerra tra il fronte marocchino e quello del Polisario, nel 1991 viene attivata una missione delle Nazioni Unite (Mission des Nations Unies pour l’Organisation d’un Référendum au Sahara Occidental) senza raggiungere mai alcun risultato.
Trent’anni dopo, i campi base della Missione ONU sono ancora presenti, a testimoniare la situazione che sembra finita in un vicolo cieco, incagliato senza prospettive.
Situazione di stallo causata anche dall’operato “inattento” ONU, che è privo di una componente focalizzata sui diritti umani, a differenza della maggior parte delle operazioni di pace dell’Organizzazione stessa; alla luce delle numerose violazioni perpetrate ai danni della popolazione saharawi si denota un radicale disinteresse per l’applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli, richiamato come valore fondamentale.
Questa realtà è senza dubbio dovuta ad una ferma quanto forte mancanza di volontà da parte del Marocco, confortato da alcuni Paesi che non vogliono la pace e ostacolano il rispetto del diritto internazionale. Tra questi c’è la Francia che continua a fare pressione politica su organismi internazionali come il PAM (Programma Alimentare Mondiale) per diminuire le razioni di cibo da distribuire tra i Saharawi nei campi profughi.
La fuoriuscita mediatica delle sistematiche violenze nei territori occupati, la resistenza pacifica che le sue vittime continuano a sostenere e la capillare attività di sensibilizzazione alla causa saharawi, portata avanti dal Polisario, sembrano costituire, oggi, l’unica effettiva possibilità del riavvio del percorso di pace, che le Nazioni Unite, in questi 30 anni, non sono state in grado di gestire.
di Alice
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