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CON LA SEGREGAZIONE NON C’È NÈ DIGNITÀ NÈ FUTURO

9 Luglio 2023
CON LA SEGREGAZIONE NON C’È NÈ DIGNITÀ NÈ FUTURO

Apartheid è il termine usato per indicare la segregazione razziale adottata in Sudafrica dal 1948 al 1991. In afrikaans il termine apartheid significa “separazione”.

Per estensione, oggi il termine è utilizzato per rimarcare qualunque forma di segregazione civile e politica a danno di minoranze, ad opera del governo di uno stato sovrano, sulla base di pregiudizi etnici e sociali.

Un sistema di apartheid è un regime istituzionalizzato di oppressione e di dominazione di un gruppo razziale su un altro. È una grave violazione dei diritti umani vietata dal diritto internazionale, che considera tale violazione come crimine contro l’umanità.

Questi atti sono descritti nella Convenzione sull’apartheid delle Nazioni Unite e comprendono le uccisioni illegali, la tortura, i trasferimenti forzati e il diniego dei diritti e delle libertà basilari.

Ad oggi questi tipi di regimi non dovrebbero più esistere sebbene siano diverse le ong che hanno usato il termine apartheid per descrivere il trattamento riservato ai palestinesi da parte di Israele come Human Rights Watch, che grazie alle sue ricerche, ha dichiarato che Israele mostra l’intenzione di mantenere il dominio degli ebrei israeliani ebrei sui palestinesi in Israele e nei Territori palestinesi occupati. (comportamento tipico dei regimi di apartheid)

Inoltre, il rapporto di Amnesty International del 2022, tra i più completi sul tema, fornisce in 278 pagine, una descrizione dettagliata del sistema di oppressione e dominazione di Israele.

Le massicce requisizioni di terre e proprietà, le uccisioni illegali, i trasferimenti forzati, le drastiche limitazioni al movimento e il diniego di nazionalità e cittadinanza ai danni dei palestinesi fanno parte di un sistema che, secondo il diritto internazionale, costituisce apartheid.

Diverse sono state le prove raccolte da Amnesty della natura istituzionalizzata dell’oppressione israeliana dei palestinesi e di come le leggi e le politiche israeliane siano progettate specificamente per privare la popolazione palestinese dei loro diritti.

L’uccisione illegale di manifestanti palestinesi è forse il più chiaro esempio di come le autorità israeliane ricorrano ad atti vietati per mantenere il loro status quo. Nel 2018 i palestinesi di Gaza avviarono proteste settimanali lungo il confine con Israele per affermare il diritto al ritorno dei rifugiati e chiedere la fine del blocco. Ancora prima che le proteste avessero inizio, alti funzionari israeliani avvisarono che contro i palestinesi che si fossero avvicinati al confine sarebbe stato aperto il fuoco. Alla fine del 2019, le forze israeliane avevano ucciso 214 civili palestinesi, tra cui 46 minorenni.

Le autorità israeliane hanno introdotto tutta una serie di misure per negare i diritti e le libertà basilari ai palestinesi considerati come una minaccia.

Attualmente 35 villaggi beduini in cui risiedono circa 68.000 persone, sono “non riconosciuti” da Israele: ciò significa che non hanno forniture di corrente elettrica e di acqua e sono soggetti a ripetute demolizioni. Poiché questi villaggi non hanno uno status ufficiale, i loro abitanti subiscono limitazioni nella partecipazione politica e sono esclusi dal sistema sanitario e da quello educativo. Di conseguenza, in molti sono stati costretti a lasciare le loro case: ciò costituisce trasferimento forzato.

Nei Territori palestinesi occupati, la continua espansione degli insediamenti israeliani dal 1967, rende ancora più grave la situazione. Oggi gli insediamenti coprono il 10 per cento delle terre della Cisgiordania. Tra il 1967 e il 2017 circa il 38 per cento delle terre palestinesi di Gerusalemme Est è stato espropriato.

Il rapporto di Amnesty International contiene raccomandazioni specifiche affinché Israele possa smantellare il sistema di apartheid e la discriminazione, la segregazione e l’oppressione che lo sostengono.

L’organizzazione per i diritti umani chiede:

  • la fine delle pratiche brutali e violente nel trattamento dei palestinesi;
  • la fine delle demolizioni delle abitazioni e degli sgombri forzati;
  • il riconoscimento da parte di Israele di uguali diritti a tutti i palestinesi in Israele e nei Territori palestinesi occupati (come prevedono i principi del diritto internazionale);
  • Il riconoscimento del diritto dei rifugiati e dei loro discendenti al ritorno nelle abitazioni dove loro o i loro familiari vivevano;
  • riparazione alle vittime delle violazioni dei diritti umani e dei crimini contro l’umanità.

Ogni stato può denunciare le gravi violazioni del diritto internazionale messe in atto dal governo di Israele ma per cambiare radicalmente la situazione e rivendicare i diritti del popolo palestinese è necessario un cambiamento dell’approccio della comunità internazionale alla crisi dei diritti umani in atto in Israele e nei Territori palestinesi occupati.

Per la redazione

di Alice Marmo

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