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LA MEMORIA DI QUELLE DONNE PER CUI IL PARTO DAL PROPRIO VENTRE NON ERA DIFFERENTE DA QUELLO DAL PROPRIO CUORE…

7 Agosto 2023
LA MEMORIA DI QUELLE DONNE PER CUI IL PARTO DAL PROPRIO VENTRE NON ERA DIFFERENTE DA QUELLO DAL PROPRIO CUORE…

En Argentina, las locas de Plaza de Mayo serán una ejemplo de salud mental,

porque ellas se negaron a olvidar, en los tiempos de la amnesia obligatoria.”

“In Argentina, le pazze di Piazza di Mayo saranno un esempio di salute mentale,

perché loro si proibirono di dimenticare, nel tempo dell’amnesia obbligatoria”

Eduardo Galeano El derecho al delirio.

Nei giorni tra il 19 e il 22 di luglio ricorre il 47° anniversario delle giornate repressive della Noche del Apagón en Ledesma, quella che oggi conosciamo come “La notte del blackout” nella provincia di Jujuy, Nord dell’Argentina. Una settimana in cui le forze repressive dello Stato hanno interrotto la fornitura di energia elettrica attraverso l’impianto del Libertador General San Martín per arrestare e assassinare attivisti politici, sindacali e studenteschi.

A luglio del 1976, erano già passati 3 mesi dall’inizio dell’ultima dittatura civico-militare in Argentina, una dittatura che ebbe inizio con un golpe militare, messo in atto la notte del 24 marzo 1976 dalle forze armate argentine, che destituì la presidente Isabel Martínez de Perón del potere. Con il golpe Jorge Rafael Videla divenne presidente della Repubblica ed ebbe inizio quella che fu denominato ”Processo di riorganizzazione nazionale”, ma che a tutti gli effetti fu una dittatura militare che durò circa 7 anni.

Un giorno una delle madri ci ha detto che ciò che stavano facendo non ci avrebbe aiutato in alcun modo, che saremmo dovute scendere in piazza, radunarci a Plaza de Mayo perché da tempo immemorabile la popolazione si radunava in quella piazza quando voleva avere notizie su ciò che la preoccupava.” Haydeé Gastelù de Garcia Buela.

Il 30 Aprile del 1977, un gruppo composto da 14 madri, su iniziativa di Azucena Villaflor si riunì per la prima volta in Plaza de Mayo, considerato il centro del potere politico nel Paese, per avere risposte riguardo alla sparizione dei propri figli.

Le madri non si conoscevano, ma si erano incontrate già durante i vari pellegrinaggi alle diverse istituzioni dopo il colpo di Stato del 24 marzo 1976, per denunciare la “scomparsa” dei familiari.

Nelle interviste registrate nell’archivio orale di Memoria Abierta, alcune madri ricordano l’inizio della loro lotta. “L’idea era quella di unirsi a chi stava cercando qualcuno. Alla fine ci siamo ritrovate ad essere 14 madri alla ricerca dei propri figli ‘scomparsi’. Li stavamo cercando ed esigevamo delle risposte.”

La data scelta per il raduno era un sabato, ma la piazza era deserta e l’obiettivo della loro azione era un confronto con le autorità e una divulgazione delle notizie con i cittadini, le Madri riprogrammarono il raduno prima a venerdì e poi a giovedì. Giorno della settimana che da allora fino ad oggi è diventato il giorno del raduno delle Madri nella piazza.

“Ci chiamavano le pazze, e qualcuno pensava che fosse un’offesa. Ci mettevano dentro tutti i giovedì, e noi ritornavamo. Ci dicevano, eccole lì, le pazze. Le arrestiamo e loro ritornano. Ma noi sapevamo di essere pazze d’amore, pazze dal desiderio di ritrovare i nostri figli… e poi, perché no? Un po’ di pazzia è importante per lottare. Abbiamo rovesciato il significato dell’insulto di quegli assassini.” (Madres de Plaza de Mayo, 1997)

Piazza de Mayo da quel momento divenne il palcoscenico di una delle più grandi azioni di resistenza nonviolenta della storia.

Le madri si riunivano perché sentivano la necessità di avere giustizia e di essere ascoltate. Avevano la necessità di uscire dall’oppressione del silenzio e della paura delle istituzioni politiche e sociali.

Chiedevano di essere viste, ascoltate e di essere ricevute da Videla. Arrivavano ai loro raduni del giovedì, senza valigie, solo documenti e biglietti per viaggiare, alcune portando vestiti da cucire,si radunavano circondate da soldati armati di fucili che le sminuivano e le credevano pazze.

 “Chiunque affermi che non avevamo paura non è sincero.” “Abbiamo imparato a muoverci nella paura”

Non potendo sostare, non potevano assembrarsi e non potevano parlare in gruppo e così hanno iniziato a camminare intorno alla Piràmide de Mayo, un monumento al centro della piazza

 “Le persone passavano e ci chiedevano: chi siete?”.

 “Erano tempi molto duri e, sebbene avessimo il coraggio di andare per le strade, non riuscivamo a scrollarci di dosso la paura di essere cacciate o arrestate, come era già accaduto varie volte. Eravamo combattute tra la paura e il desiderio di ritrovare i nostri figli.”

Il segno distintivo delle Madri, che nel frattempo divennero moltissime, e avevano bisogno di riconoscersi e darsi sostegno era ed è ancora oggi un pañuelo bianco sul capo che simboleggiava i pannolini dei loro figli. 

“I foulard sono apparsi la prima volta durante la nostra visita a Luyàn, perché spesso ci perdevamo e non riuscivamo a riconoscerci… così è nata l’idea… non si trattava di un foulard, ma era un pannolino. Simbolicamente legavamo sulla nostra testa un pannolino cosicché potevamo riconoscerci.”

Nel Dicembre del 1977, otto mesi dopo il primo raduno in piazza, alcuni ufficiali arrestarono tre Madri che risultano tutt’oggi “scomparse”. Maria Ponce de Bianco e Esther Ballestrino de Careaga sono state rapite dalla Chiesa della Santa Croce l’8 dicembre 1977 da una pattuglia della polizia. Due giorni dopo, durante la commemorazione della Giornata Internazionale per i Diritti Umani e la pubblicazione da parte del quotidiano La Naciòn della prima petizione delle Madri che denunciavano più di mille scomparsi, Azucena Villaflor De Vincenti fu rapita poco lontano dalla sua casa.

In Argentina la dittatura militare provocò la scomparsa di oltre 30.000 giovani, rapiti, torturati e uccisi nel silenzio, una violenza agita all’interno dei campi di tortura clandestini. Il ritornello di obbedienza popolare che echeggiava tra il popolo argentino in quegli anni era “el silencio es salud” e le prime a rompere questo muro di silenzio furono proprie queste madri, donne che da sempre erano state costrette ad avere un ruolo subordinato e solitario.

Con la paura, ma con il coraggio del mobilitarsi in collettività furono le prime che sfidarono il potere e le leggi di uno stato terrorista, senza strumenti organizzativi e di offesa, ma solo con la tenacia e persistenza. Senza imporre la propria forza, ma portando il proprio “corpo” come strumento politico di protesta, sovversione e di resistenza. Senza armi, ma con l’unica arma in loro possesso: la memoria del dolore personale, che venne tradotto e in dolore collettivo, in memoria collettiva.

Da quel momento il figlio di ciascuna diventò il figlio di tutte e loro, le madri di tutti i desaparecidos.

“Siamo tutte madri di tutti i nostri figli; una donna può partorire molti figli in modo diverso: il parto dal proprio ventre e il parto dal proprio cuore non sono differenti” (Madres de Plaza de Mayo, 1997).

Le parole della resistenza nonviolenta più intensa e persistente. Una forma di lotta che oltrepassa la pelle del semplice ammirare e arriva all’intimo del partecipare. Uno stare che si fa vivere e agire. Una voce che si alza e attraversa la memoria intorpidita.

Una commozione che nasce dalla potenza del fare memoria come unica arma a disposizione per contrastare l’abuso e il silenzio.

Nunca Mas.

Gracias Madres, Gracias Abuelas

Per la Redazione

Alessia Saini

Le foto sono state scattate alla marcia numero 2363 del 20 luglio 2023.

Memoria, Verdad, Justicia

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