DONATORI DI SPERANZA
Quando si osserva la foto di Antonella di Bartolo, dirigente scolastico dell’istituto comprensivo Sperone-Pertini della periferia di Palermo, intenta a parlare ai genitori di un suo alunno assenteista affacciati al balcone di casa propria tentando di convincerli a mandare loro figlio a scuola, sembra di star guardando una foto scattata decenni fa o di essere comparse sceniche nel celebre film della Wertmüller “Io speriamo che me la cavo”, in cui Paolo Villaggio nei panni del maestro delle elementari Sperelli si vede costretto a dover andar a prendere i propri alunni uno per uno nelle rispettive case o per le strade di quartiere della fittizia Corzano, per combattere il forte assenteismo presente nella sua classe.
Eppure, l’immagine scattata a settembre 2023 a guardarla bene trasuda l’essenza di un’epoca in cui forse nell’istituzione della scuola e nel diritto all’istruzione sembra crederci una minoritaria fetta di popolazione un po’ nostalgica, ancora troppo attaccata alle tradizioni neanche troppo antiche, mi permetterei di aggiungere, se si considera che in Italia l’obbligo scolastico fino ai 14 anni fu istituito solo nel 1923, ma rimase parola morta almeno fino ai primi anni 60.
Ebbene, eccoci un secolo dopo con un tasso di dispersione scolastica all’11,5% (dati Istat 2022), un fenomeno complesso e sfaccettato che non si limita all’abbandono scolastico, ma che comprende l’uscita precoce dal sistema formativo, l’assenteismo, la frequenza passiva e l’accumulo di lacune che possono compromettere la crescita culturale e professionale degli studenti e che vede le sue cause difficilmente misurabili nella loro interezza, in scelte e riforme spesso troppo lontane nel tempo. Questo dato che può sembrare piccolo, ma che in realtà è tristemente allarmante se si pensa che dietro a quel numero ci sono migliaia di bambini e ragazzi privati di opportunità di futuro, anche se in forte calo fortunatamente, ci spinge a riflettere su quale sia il ruolo della scuola e di tutto il corpo docente nella crescita delle nuove generazioni e quali sfide si trovi ad affrontare per contrastare tale dato.
Un punto critico sul quale bisogna necessariamente riflettere è che la scuola, oggi, deve preparare i ragazzi ad una società in cui vivranno da adulti in futuro.
Ma come sarà esattamente il futuro in cui dovranno vivere? Come evolverà la società?
È con questi interrogativi pendenti che la scuola è chiamata insieme ad un’altra grande istituzione presente nella nostra società e anch’essa soggetta a grandi mutazioni e in continuo divenire, ovvero la famiglia, a farsi carico di una parte di responsabilità nel crescere le nuove generazioni e fornirgli gli strumenti necessari per inserirsi nella società in cui vivono e vivranno. Pur non potendo prevedere ciò che accadrà, la scuola con lungimiranza si pone l’obiettivo di aiutare tutti coloro che la frequentano dalla più tenera età fino a quella “adulta”, a sviluppare delle competenze sufficientemente solide per affrontare, e di ciò si è certi, i cambiamenti che ci saranno.
L’incertezza per il futuro e la paura per il cambiamento suonano quasi come un cliché alle orecchie di molti, se si considera insito nell’essere umano la sua naturale propensione ad anticipare gli eventi e a tentare di prevedere gli esiti delle sue azioni, che si trasforma in paura nel momento in cui ci si confronta con la consapevolezza che il futuro è intrinsecamente incerto. Questo cliché però, assume una connotazione ancora più angosciante parlando con i giovani delle nuove generazioni, che dopo aver vissuto la pandemia, la scuola a distanza, la reclusione in casa nella propria bolla di internet e il mondo delle relazioni messo in sospeso, con il timore di rimanere indietro non solo sui programmi scolastici, ma sulla vita stessa, sono poi riemersi dalla pandemia e si sono trovati di fronte notizie di un mondo in cui vi è di nuovo la guerra e dove il cambiamento climatico continua a mietere vittime a suon di catastrofi. In un contesto così demoralizzante e intriso di motivazioni per cui avere paura di un futuro che sembra ormai certo, spingendo molti a voler gettare la spugna, la scuola assume un ruolo ancora più fondamentale nel sostenere le nuove generazioni, nel fargli vedere un’alternativa a quel futuro che sembra già scritto, nell’insegnargli che conoscere la storia serve affinché essa non si ripeta, la scienza per capire meglio ciò che ci circonda e studiare soluzioni per migliorarlo, l’educazione civica per infondere più fiducia e rispetto nel prossimo e così via, diventando così un laboratorio di vita in cui i bisogni, le risorse e le difficoltà delle nuove generazioni vengono ascoltati e sostenuti e in cui vi è speranza per un domani con un esito diverso.
Alla scuola, dunque, e agli insegnanti non è chiesto di essere un pozzo di conoscenza e di competere con i mezzi di comunicazione, con i media e con gli strumenti digitali che mettono a disposizione di tutti qualsiasi contenuto o informazione, limitandosi a trasferire meramente un sapere attraverso lezioni passive per le quali non si hanno neanche più le capacità per seguirle, dato che la soglia di attenzione media si è abbassata notevolmente con il passare degli anni. Insegnare, oggi, significa soprattutto risvegliare l’interesse nei bambini e nei ragazzi, cercare di accendere in loro la curiosità, di suscitare entusiasmo e di far nascere in loro la voglia di scoprire e conoscere che, una volta scaturita, li accompagnerà per tutta la loro vita. In altre parole, dargli ciò che non potranno mai trovare, per quanto all’avanguardia, in nessuna tecnologia, ovvero un rapporto umano, una persona che li ascolti, che li comprenda e che sia interessata a loro e a ciò che pensano. Le cosiddette nuove generazioni e quelle future potranno anche prendere i contenuti dove vorranno, ma solo l’intelligenza umana emotiva fatta da tutti quegli insegnanti, dai dirigenti e tutto il corpo scolastico che lavora con passione e dedizione ogni giorno, senza fermarsi alle difficoltà poste dalla società moderna, proprio come Antonella di Bartolo, potrà trasmettergli la voglia di conoscere cose nuove e di allargare i loro orizzonti e potrà donargli la speranza e l’opportunità di cambiare il loro futuro.
Tutto ciò potrà trasmetterlo solo la scuola, o meglio la buona scuola.
Per la redazione
Sara Palumbo
Intervista ad Antonella Di Bartolo
Rispondi