LA CULTURA DEL POPOLO ROM IN DANZA E MUSICA 
Il popolo romanì si compone di vari sottogruppi, tra cui i sinti, i rom, kalè, romanichal, tutti accomunati dalla medesima lingua, simile all’antico sanscrito, da determinate tradizioni e da una lunga storia di discriminazioni e persecuzioni da parte dei “non-zingari”.
Le radici della cultura zingara sono ancorate all’India. Esistono, infatti, molti punti di contatto con le popolazioni di lingua dravidica, ovvero coloro che si stabilirono nelle regioni del Deccan e del Panjab prima del 3500 a.C.
La cultura Rom, come altre, ha assorbito pratiche e tradizioni tipiche di altri popoli con cui è entrata in contatto nel tempo.
Hanno condiviso e abbraccio dei valori quali: l’indipendenza, importanza della vita, rifiuto della guerra, cura e attenzione verso i bambini, autorità paterna , ruolo subordinato della donna e amore per la musica
Il contributo dato alla musica da parte del popolo romanì è abbondante, ma purtroppo sempre nascosto, o meglio, sotterrato, da luoghi comuni spiacevoli che allontanano lo sguardo da una fattualità oggettiva. Fonti storiche evidenziano che fin dal XVI secolo gitani, lautari, rom, kalè suonavano presso le corti (Spagna, Ungheria, Russia) e i palazzi nobiliari. Erano famosi per un modo tutto loro di suonare (in particolare il violino) e per l’arte dell’improvvisazione. Molti sono i musicisti che si sono ispirati alle loro musiche o che le hanno trascritte e orchestrate (Haydn, Schubert, Brahms, Listz, Ravel, De Falla, Bartok, Debussy).
Abili nella tecnica dell’improvvisazione, i rom si sono affacciati alla musica jazz in modo naturale e spontaneo. Infatti, esiste un particolare tipo di jazz, il manouche, tipicamente romanì.
Massimo esponente di questo stile è Reinhardt Django. Con lui gli strumenti a corda trovano qui massima espressione. Egli riesce abilmente a coniugare, e in questo fu inimitabile, la sonorità popolare rom, il jazz americano e lo swing degli anni Trenta. Quando aveva 18 anni il carro sul quale abitava prese fuoco e si ustionò gravemente la mano sinistra, che, mal curata, riportò l’atrofizzazione e la fusione del mignolo e anulare. Con enorme tenacia e inventiva sviluppò una tecnica tutta particolare di suonare la chitarra e riprese la sua carriera arrivando a suonare con Duke Ellington. La chitarra ritmica nel jazz zingaro usa una forma speciale di strimpellamento conosciuta come “la pompe”, cioè “la pompa”. Ciò da un effetto di oscillazione rapida, e molto spesso enfatizza i battiti due e quattro; una caratteristica vitale dello swing. La mano che strimpella, che non tocca mai la parte superiore della chitarra, deve fare una rapida ascesa verso il basso seguita da una caduta in basso. La parte su-giù della pompa deve essere eseguita in modo estremamente veloce, indipendentemente dal tempo della musica. Le prime generazioni di musicisti jazz gitani hanno appreso lo stile con il “metodo gitano”, coinvolgendo pratica intensa, imitazione diretta di musicisti più anziani (spesso membri della famiglia) e giocando e imparando “ad orecchio”, con scarso studio musicale formale ( e di educazione formale di qualsiasi tipo). Dalla fine degli anni ’70 sono diventati disponibili materiali di studio di tipo più convenzionale come workshop, libri di studio e di metodi e video, che consentono ai musicisti di tutto il mondo di imparare lo stile, i suoi ornamenti idiomatici e il suo linguaggio musicale.
Può sorprendere sapere che anche nell’ambito della musica leggera, grandi personalità e miti planetari abbiano radici rom. Parliamo di Elvis Presley! (la madre era sinti e il padre romanichal) e Ronnie Wood! (il chitarrista del Rolling Stone, anche lui romanichal).
La passione per la musica, dunque, risulta essere fondamentale per la cultura rom. Per questo, non è affatto inusuale trovare nei loro accampamenti strumenti musicali come violini, cimbali e chitarre. E’ invece raro che conoscano la teoria della musica. Le note e il solfeggio sono quasi sempre ignorati dalla cultura rom, che preferisce arrangiare brani popolari servendosi di un buon orecchio allenato a suoni quotidiani di festa. Sono eccellenti artigiani, dediti al lavoro manuale creativo, per cui gli strumenti musicali di cui si accennava sopra, sono frutto di loro creazioni personali. Quando si affronta il tema della musica in ambito rom, è doveroso il richiamo al Flamenco di Spagna, che vede i rom primi protagonisti di una danza che si è diffusa in tutto il mondo e che gode di un successo planetario.
Il Flamenco come forma musicale nasce e si sviluppa in Spagna, nella zona andalusa. Si compone di una parte cantata, un po’ stonata apparentemente, da una parte strumentale e da una danzata. Il cante flamenco è caratterizzato dal lamento, dalla carica emozionale e dall’intensità espressiva non conciliabile con la voce di un cantante accademico. Non tutte le voci sono adatte al canto, la voce giusta deve possedere qualità ben differenti rispetto ad un canto melodico. Una voce roca, gutturale e con una capacità emissiva particolare è l’ideale, infatti la voce più adatta è quella con un registro medio grave e un tono velato e rude. Per riuscire ad ottenere questo tipo di voce, i cantores ricorrono spesso agli alcolici. La parte del baile, invece, non deve trasmettere bravura e capacità tecnica ma la fermezza dello stato d’animo sconsolato e sofferto. Il bailaor guarda dritto davanti a sé con atteggiamento di sfida e provocazione, suscitando allo stesso tempo sicurezza e convinzione. Il baile è la danza Europea che possiede più delle altre il potere dell’isolamento del ballerino dal mondo che lo circonda. Il flamenco è una danza con movimenti rivolti verso il basso, introversa, in opposizione con la leggerezza e l’elevazione della danza classica.
Nasce alla fine del Settecento, non come forma di intrattenimento e di spettacolo nel suo significato puro, ma piuttosto come un vero grido disperato e scomposto da parte del popolo rom, che attraverso il canto e il ballo ritmato in modo spontaneo, riusciva a sfogare il dolore della propria condizione. Il flamenco si sviluppa tra le province di: Siviglia, Cadice, Jerez e Cordova. Nella fase iniziale, si mostra come uno sfogo emozionale della minoranza gitana in Andalusia. Si cantava senza l’accompagnamento della chitarra, avvalendosi soltanto di supporti ritmici corporali, come il battito dei piedi sul terreno, delle mani oppure delle nocche sul tavolo. Oggi invece è una forma di spettacolo a tutti gli effetti.
Il popolo rom è per definizione errante, ma questo non li sottrae da un bisogno identitario collettivo ben chiaro e affermato nel tempo e nella storia. Il popolo rom c’è, esiste, e il suo fascino non deve essere atterrato da basse forme di discriminazione che in epoca contemporanea si diffondono attraverso categorie statiche e alienanti. A tal proposito, la cultura rom urla la propria voce, rivendica la propria presenza nel mondo attraverso un canto, che è ufficialmente il loro inno. Gelem, Gelem (o “Opré Roma” o “Romale Shavale”) , adottato ufficialmente dai delegati del primo Congresso Mondiale Rom svoltosi a Londra nel 1971. Composto in lingua romanì dal musicista Jarko Jovanović dopo la fine della seconda guerra mondiale, fa riferimento al Porajmos, lo sterminio di Rom e Sinti perpetrato dai nazisti dal 1933 al 1945. Di seguito è riportato il testo con annessa traduzione:
TESTO
Gelem, gelem lungone dromencar
Maladilem baxtale Romencar
A Romalen kotar tumen aven
E chaxrencar bokhale chhavencar
A Romalen, A chhavalen
Sasa vi man bari familiya
Mudardas la i Kali Lègiya
Saren chhindas vi Romen vi Romnyan
Mashkar lende vi tikne chhavoren
A Romalen, A chhavalen
Putar Devla te kale udara
Te shay dikhav kay si me manusha
Palem ka gav lungone dromencar
Ta ka phirav baxtale Romencar
A Romalen, A chhavalen
Opre Roma isi vaxt akana
Ayde mancar sa lumaqe Roma
O kalo muy ta e kale yakha
Kamava len sar e kale drakha
A Romalen, A chhavalen
TRADUZIONE
“Camminando, e camminando per lunghe strade,
ho incontrato rom fortunati.
Ehilà, gente rom? Da dove venite
con le vostre tende e i vostri bambini affamati?
Oh, gente rom! Oh, fratelli!
Anch’io avevo una grande famiglia,
l’ha sterminata la Legione Nera.
Uomini e donne rom furono squartati,
e tra di loro anche bimbi ancora piccini.
Oh, gente rom! Oh, fratelli!
Dio, apri le nere porte, affinché
io possa vedere dov’è andato il mio popolo.
E tornerò a camminare per le strade,
e le percorrerò con fratelli rom gioiosi.
Oh, gente rom! Oh, fratelli!
In piedi, rom! Ora è il momento,
venite con me, rom di tutto il mondo
con i vostri volti bruni e vostri occhi scuri tanto desiderabili come l’uva nera. Oh gente rom!
Oh, fratelli!”
Alessia Giurintano per la redazione
La redazione dedica questo articolo a Salvo Di Maggio amico del popolo rom di Roma recentemente scomparso. Obiettore di coscienza al servizio militare, militante libertario, antimilitarista e, per molti giovani, compagno di viaggio sulle strade del servizio civile.
https://open.spotify.com/artist/3oN4YCb1CW362RleDeSAGw?si=ff46efc95b514682
Questa è una versione di Djelem Djelem del nostro gruppo musicale