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NUOVE DIPENDENZE TRA FILOSOFIA E CAPITALISMO

12 Giugno 2023
NUOVE DIPENDENZE TRA FILOSOFIA E CAPITALISMO

 Il cielo quando è sereno e chiaro di un purissimo splendore

non può diventare ancora più limpido;

allo stesso modo la condizione dell’uomo che cura corpo e anima

e costruisce su entrambi il suo bene è perfetta

ed egli vede esaudito il più grande dei suoi desideri

se l’anima è serena e il corpo non soffre.

Seneca, Lettere a Lucilio

Nel tentativo disperato e affannato di trovare il proprio posto nel mondo e di interagire con l’ambiente tanto selvaggio quanto antropocentrico che le precedenti generazioni gli hanno lasciato in eredità, l’essere umano si trova a dover affrontare l’arduo compito di comprendere e disciplinare se stesso attraverso le correnti emotive che investono quotidianamente la propria vita.

Spesso, la ricerca di un attimo di sollievo, di un momento di calda neutralità rispetto alle centinaia di stimoli che si interpongono gli uni agli altri alla velocità di un battito di ciglia, si risolve nella dedizione ad attività che hanno il potere di calmare il respiro e ristabilire una centralità, solida e fertile.

Altre volte, la stessa ricerca conduce verso un turbinio senza fine in cui il momento di conforto non è altro che una trappola che nasconde il feroce inganno della dipendenza.

L’iperattività e la bulimia del mondo occientale odierno hanno contribuito ad arricchire lo spettro delle patologie con nuovi oggetti e nuove dinamiche con i quali instaurare dei legami relazionali ossessivi. Sono nate così le cosiddette nuove dipendenze, o new addictions, intese come delle condotte non legate specificatamente all’uso di sostanze ma a delle attitudini comportamentali altamente disfunzionali.

Tra queste, rientrano le dipendenze tecnologiche tra cui si possono distinguere la dipendenza da smartphone, da social media e da internet, la dipendenza da sesso e da pornografia, la dipendenza affettiva, la dipendenza dal gioco d’azzardo e dal lavoro. Insomma, si tratta di un vasto ventaglio di patologie relative al controllo degli impulsi che affliggono un bacino sempre più ampio di popolazione di tutte le età. Basti pensare che la dipendenza dal gioco d’azzardo o ludopatia, recentemente inserita a tutti gli effetti nel capitolo delle dipendenze patologiche del nuovo manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM-5, affligge circa 1,5 milioni di italiani.

È interessante notare, che rispetto alle dipendenze ‘’classiche’’, caratterizzate generalmente dall’incapacità di controllare il desiderio di assunzione di specifiche sostanze, le new addiction si manifestano soprattutto in relazione a semplici attività quotidiane comportando una compromissione effettiva delle dinamiche psichiche ed emotive individuali.

In questo panorama, ad esempio, si iscrivono in particolar modo la vigoressia e la ortoressia, rispettivamente la dipendenza patologica dall’attività fisica e dall’alimentazione sana.

Al limite del paradosso, infatti, delle attitudini all’attenzione e alla cura di sé si trasformano in spiragli di insoddisfazione e di ricerca morbosa che conducono i soggetti che ne sono affetti in una dimensione altamente disfunzionale, che ne condiziona salute fisica e mentale.

La cultura del sé, o quella che gli antichi greci chiamavano technē tou biou,ovvero ‘’arte dell’esistenza’’ viene esasperata oltre il limite del patologico causando una inversione di priorità tra il benessere e i mezzi utilizzati per raggiungerlo.

Le tecniche e gli esercizi rivolti dal soggetto verso la sua realizzazione, insieme a tutte le pratiche ampiamente descritte da filosofi antichi quali Seneca e Marco Aurelio per disciplinare corpo e spirito e per ricercare il contenimento degli impulsi, si rovesciano su se stessi, perdendo il loro perno per diventare ossessioni maniacali. Dalla prospettiva degli antichi sapienti greci e romani, quindi, ciò che in giusta misura potrebbe costituire una modalità efficace di ottenere una sana e costruttiva padronanza di sé, diventerebbe un circolo vizioso di frustrazione che ricerca ossessivamente sempre nuove possibilità di soddisfazione.

Se le ‘’tecnologie del sé’’ descritte da Foucault come un insieme di pratiche volte a un disciplinamento positivo mirato all’autoaffermazione, avevano lo scopo di spingere il soggetto alla creazione di uno spazio di libertà, queste nuove dipendenze, che si poggiano ambiguamente sull’ombra del concetto di cura, non fanno altro che generare un nuovo asservimento. Regola, esercizio, ripetitività e disciplina, da pratiche di autocontrollo imposte dal soggetto a se stesso, diventano, in modo del tutto paradossale, pratiche di asservimento al metodo e al processo.

Sebbene la risoluzione di condizioni di questa natura non è certo da ricercare sul piano filosofico, ma richiede l’attenzione di un processo di ordine psicologico, risulta difficile non notare la correlazione tra lo sviluppo di questi disturbi e l’alienante e inappagante attitudine contemporanea all’iper-produttività.

In un contesto in cui un oggetto da poco fabbricato si è già fatto rifiuto ingombrante, la soggettività non può che risentire del peso di un processo di produzione interminabile, che ad ogni nuovo traguardo produce sempre nuovi avvii. I soggetti che prendono in carico loro stessi e la propria poiesis, ovvero la propria creazione,si ritrovano immersi in un processo senza fine che invece di arrivare a compimento produce ininterrottamente nuovi scarti.

A questo si aggiunge l’asfissiante impressione, classicamente indotta dalla macchina iperattiva del capitalismo, di dover costantemente colmare un vuoto, di aver bisogno ancora d’altro e altro ancora. Si tratta di un’insoddisfazione strutturale che olia il meccanismo di produzione e si distilla nella controversa convinzione di dover ottenere o fabbricare un prodotto sempre nuovo, sempre più prestante e più performante.

Se è vero che il percorso delle dipendenze passa attraverso fasi di desiderio persistente e di gratificazione immediata che si susseguono all’infinito, è vero anche che queste fasi sembrano rispecchiare pienamente quella postura ingenuamente capitalista che costituisce il vissuto dell’uomo moderno. Forse, quindi, se alla lettura psicologica del fenomeno delle dipendenze si decidesse di azzardare un’interpretazione capace di riscoprire le responsabilità di un meccanismo intrinsecamente dannoso, se si arrivasse a riconoscere che spesso malattie, disabilità, disturbi e patologie psichiche non sono fattori completamente slegati dall’organizzazione sociale, si potrebbe addirittura pensare di formulare una prevenzione, oltre che una cura, ai dolori subìti dai soggetti inconsapevoli che abitano il nostro tempo.

Per la redazione,

Jessica Eterno

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