RISONANZE DEL TERRORE

La strategia del terrore nel contesto italiano è, senza ombra di dubbio, un fenomeno caleidoscopico. Questo spazia dalle violenze politiche ai sequestri, passando per gli attentati dinamitardi e l’assassinio di figure pubbliche. Tutte azioni con lo scopo esplicito di destabilizzare lo stato democratico, alimentando paura e tensione tra i cittadini, ad opera sia del terrorismo rosso e nero, sia della Mafia. Tuttavia, considerando il recente anniversario dei tre attentati mafiosi contro la Repubblica, avvenuti il 27 Luglio 1993, concentreremo la nostra attenzione sulla strategia del terrore di matrice mafiosa, inaugurata dall’attentato a Roma in Via Fauro il 14 maggio.
L’obiettivo dell’attentato del 14 maggio era Maurizio Costanzo, un nome nazionàl-popolare e, di conseguenza, capace di illustrare come Cosa Nostra fosse in grado di operare oltre i confini siciliani. Un segno di forza inteso a dimostrare non solo la difficoltà di contrastare il potere mafioso, ma anche la sua capacità di sfidare la Repubblica Italiana. Per preparare l’attentato, Costanzo venne pedinato a lungo prima che il gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e Corso dei Mille (Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Salvatore Benigno, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano), decidesse di passare all’azione. Nonostante ciò, il primo tentativo non ebbe successo. La bomba non si innescò in tempo e l’esplosione dell’autobomba, imbottita con circa 100 chilogrammi di esplosivo ad alto potenziale, non causò vittime mortali, ma ferì ventiquattro persone, tra cui l’autista e una delle guardie del corpo che accompagnavano Maurizio Costanzo e la sua compagna, Maria De Filippi. I danni materiali furono enormi, causando l’evacuazione del palazzo all’altezza del civico 62 e danneggiando le facciate di altri quattro palazzi nelle immediate vicinanze dell’esplosione.
Sono trascorse appena un paio di settimane. È notte a Firenze, e l’una è da poco passata. Un commando di quattro persone provenienti dalla Sicilia ha parcheggiato un furgone Fiat, imbottito di una miscela composta da pentrite, tritolo, nitroglicerina, nitro e glicole, vicino agli Uffizi, in Via dei Georgofili. L’esplosione è di tale violenza da provocare il crollo della Torre dei Pulci e causare la morte dell’intera famiglia della custode, incluse le sue due figlie. Un incendio si propaga negli appartamenti circostanti e causa anche la morte di uno studente, mentre una trentina di persone rimangono ferite. Le chiese circostanti subiscono ingenti danni e numerose opere d’arte vengono distrutte o danneggiate, incluse quelle presenti negli Uffizi. Anche in questo caso, la firma è la stessa.

Due mesi dopo, a Milano intorno alle 23, una pattuglia di vigili urbani in Via Palestro viene avvicinata da alcuni passanti preoccupati per un’auto parcheggiata da cui esce del fumo, e nel cui cofano è visibile un grosso involucro. Nel momento in cui la zona inizia ad essere evacuata, il veicolo esplode. L’esplosione danneggia le case circostanti. Vicino, un tubo del gas prende fuoco, richiedendo ore di intervento da parte dei vigili del fuoco. All’alba del mattino successivo, esplode anche una sacca di gas formatasi proprio sotto il padiglione d’arte moderna. Perdono la vita un vigile urbano, tre pompieri e un extracomunitario senza casa che stava dormendo su una panchina. Dieci persone restano ferite. Numerosi dipinti vengono distrutti, danneggiando anche la Villa Reale, che ospita la galleria d’arte moderna.
Meno di ventiquattro ore dopo gli eventi di Milano, due bombe esplodono a Roma. La prima è posizionata davanti alla Basilica di San Giovanni in Laterano; la tecnica è la quella di sempre, gli ordigni sono nascosti all’interno di auto parcheggiate e i 100 chili di esplosivo causano il crollo del portico della Basilica. La seconda bomba, che esplode subito dopo, è posizionata in una vettura davanti alla Chiesa di San Giorgio al Velabro; non si registrano decessi, ma venti persone rimangono ferite. Dopo le dure parole di Papa Wojtyla ad Agrigento contro la mafia, invocando concordia, Cosa Nostra vuole simbolicamente dimostrare la sua supremazia, non solo nei confronti dello Stato, ma anche della Chiesa, colpendo obiettivi sacri.
La stagione del terrore di matrice mafiosa si conclude l’anno successivo, il 23 gennaio, allo Stadio Olimpico di Roma. Sono appena passate le 16:30 e la partita tra Lazio e Udinese è appena terminata. Circa 40.000 tifosi che hanno assistito alla partita si riversano nelle strade, passando vicino a una Lancia imbottita di 400 chili di tritolo. Quell’autobomba, che avrebbe potuto causare quella che molti ritengono avrebbe potuto essere la strage più sanguinaria, non esplode a causa di un malfunzionamento del telecomando del detonatore.
Gli attentati di Roma, Firenze e Milano non erano atti casuali di violenza, ma piuttosto parte di una strategia politica ben definita come confermato dalle testimonianze del collaboratore di giustizia Filippo Malvagna. Secondo Malvagna, durante gli incontri, Totò Riina, allora capo dei capi di Cosa Nostra, sottolineò come la pressione dello Stato italiano contro l’organizzazione mafiosa fosse aumentata significativamente e che le storiche alleanze con alcuni settori dello Stato non erano più efficaci. Per questo motivo, Riina decise di dichiarare guerra allo Stato per poi proporre una pace. Il suo piano era dunque quello di costringere lo Stato a negoziare, utilizzando azioni di terrorismo che provocarono morte, feriti e gravi danni al patrimonio artistico e culturale del paese. Quella pace proposta da Riina è conosciuto come la “Trattativa Stato-Mafia”, un episodio controverso e ancora oggetto di accesi dibattiti e interpretazioni.
Per la redazione
Guglielmo Accardo
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