Brevissima storia di cento anni di riarmo
Corrado Augias nato a Roma nel 1935, in una recente puntata della trasmissione La torre di Babele sull’emittente La7, conversando con Ascanio Celestini, ha dichiarato di essere stato un bambino testimone di guerra e per questo motivo di essere diventato “per sempre un figlio della guerra”.
Tutto il Novecento in realtà appare come una creatura del conflitto bellico e, in tempo di relativa pace, dell’industria bellica e della corsa agli armamenti. Come è facilmente desumibile da quello che segue, anche il ventunesimo secolo che stiamo vivendo presenta, in forme diverse forse, le stesse caratteristiche.
Per una rapida carrellata sulla tragica corsa agli armamenti negli ultimi cento anni, sulla base di quanto documentato in Francesco Vignarca (vignarca.net) in riferimento al riarmo nucleare e nell’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo (atlanteguerre.it) per esempio in articoli di Maurizio Sacchi, metteremmo in luce sinteticamente quello che segue.
Nel 1906 l’impero britannico – incalzato dallo sviluppo bellico delle flotte navali di Francia, Germania e Russia teso a ridurre le distanze proprio con Londra – vara nuove corazzate marine chiamate “Dreadnought”. La Germania riuscirà a procurarsi questa stessa classe di navi. La corsa complessiva agli armamenti del periodo portò alla strage in Europa del 1914–18 con la Grande Guerra nelle stime più ottimistiche di quindici milioni di morti.
Fu da quell’esperienza che nacque il primo tentativo, ad opera del presidente USA Thomas Woodrow Wilson con il suo Discorso dei Quattordici punti del 1918, di introdurre il concetto di limitazione degli armamenti per la coesistenza pacifica delle nazioni (e delle potenze mondiali), approdando al Trattato navale di Washington del 1920–21.
Ma anche a causa delle dure condizioni imposte dal Trattato di Versailles ai vinti (meno benevole delle idee di Wilson), prima il Giappone e poi la Germania violarono rispettivamente Washington e Versailles e cominciarono a riarmarsi. Nel periodo delle due guerre quindi, a fianco alle spese per il riarmo marino, diventa centrale lo sviluppo dell’aviazione, che portò a uno scontro feroce nel secondo conflitto mondiale tra Lutwaffe tedesca e Raf britannica e in genere in una nuova combinazione di manovra aeronavale, che annovera come esempio celebre la distruzione della flotta di portaerei USA stanziate nell’Oceano Pacifico a Pearl Harbor da parte dei velivoli caccia giapponesi il 7 dicembre 1941.
Nell’ultima fase della Seconda Guerra mondiale prendono la scena i missili balistici a lunga gittata, caratteristici degli attacchi massicci della Germania hitleriana sulla capitale britannica, e soprattutto la bomba atomica del 1945 di realizzazione statunitense sulle città nipponiche di Hiroshima e Nagasaki.
Il Dopoguerra, a seguito del Trattato di Yalta e della divisione del mondo in due blocchi contrapposti (della Nato a guida Usa da una parte e dei paesi aderenti al Patto di Varsavia a guida Unione Sovietica dall’altro), vede l’acquisizione dell’arma atomica anche da parte dell’URSS. È l’inizio della Guerra Fredda, caratterizzata da un “equilibrio del terrore”, determinato dalla consapevolezza che l’eventuale Terza Guerra Mondiale avrebbe portato alla distruzione di entrambi i contendenti armati, compresi i civili disarmati.
Oggi, dopo ottanta anni di guerre in tutto il mondo e dopo la disgregazione della polarizzazione in blocchi a seguito della caduta del Muro di Berlino (1989), la situazione di “folle corsa” agli armamenti continua. In un nuovo ordine mondiale complesso, al limite dell’indecifrabile, almeno per il cittadino medio.
La Federazione Russa putiniana ha innalzato la spesa per il nucleare bellico a più di 50 miliardi di euro, dotandosi di nuove testate missilistiche e nuovi sottomarini con missili Bulava, collaudati nel 2021. Lo stesso anno in cui l’amministrazione Trump ha varato una manovra da 28,9 miliardi per spese di ammodernamento dell’arsenale nucleare e lo stanziamento di 19,8 miliardi (con una crescita del 20%) per finanziare la National Nuclear Security Administration, per lo sviluppo di ordigni in genere e dei reattori navali atomici. Complessivamente quasi 46 miliardi, con dispiegamento della nuova testata W76 – 2 di cosiddetta “bassa potenza” montata su missili Trident.
L’arsenale cinese conterebbe attualmente 350 testate nucleari, contro le 6.000 circa a rispettiva disposizione di USA e Federazione Russa, ma si moltiplicano le notizie di avvistamenti di almeno 250 silos costruiti per le realizzazioni funzionali al lancio di missili intercontinentali (fonte Pentagono USA). Ma non mancano anche comunicazioni interne, ad esempio attraverso pubblicazioni quotidiane su giornali a diretta influenza del Partito Comunista Cinese, che confermano una corrente proliferazione in funzione di difesa dall’arsenale USA (al momento maggiore di venti volte).
A livello complessivo, l’introduzione del concetto di armi atomiche tattiche, utilizzabili nelle intenzioni per colpire duramente il nemico senza produrre l’apocalisse nel pianeta, rivela un inquietante sdoganamento dell’incoscienza atomica. In uno scenario di moltiplicazione bellica su scacchiere mondiale, con al centro le sanguinose guerre in Ucraina e Palestina, dove si affacciano con più insistenza poteri militari non solo nazionali (si pensi a organizzazioni come Isis e Houti), il ritorno a politiche lungimiranti di disarmo multilaterale sembrerebbero un’opzione necessaria e razionale.
Eppure al momento, azioni politiche improntate al “se non ora quando” non sembrano prendersi il centro della scena tra i governanti, nemmeno tra quelli dell’Europa unita che è nata dal desiderio di costruzione della pace su larga scala e che oggi ragiona invece su corsie preferenziali per garantire esportazioni di armi verso teatri di guerra, non solo in Ucraina.
Come canterebbe il premio Nobel Bob Dylan, “We live in a political world/ Where peace is not welcome at all”, viviamo forse davvero una situazione politica dove la pace sembra non essere affatto benvenuta e, aggiungiamo noi, dove l’unico capo di stato paradossalmente illuminista appare il Pontefice.
Per la redazione
Fabrizio Ferraro
Francesco De Gregori canta Mondo Politico, cover tradotta di Bob Dylan
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