DA RIO A SCAMPIA PASSANDO PER LA SCUOLA 

Lo scorso 24 Settembre, la redazione di Appunti di Pace, in vista del nuovo numero mensile che porterà come tema centrale l’autodeterminazione, ha avuto il piacere e l’opportunità di intervistare Daniela Farina: educatrice e ex operatrice volontaria del servizio civile.
Ha iniziato raccontando della sua esperienza in Brasile e di come questa l’abbia formata a livello educativo e interpersonale. Ma, parlando di cosa significa per lei la formazione e la scelta dei percorsi futuri ha definito il servizio civile e l’educazione come: “sono due aspetti che camminano assieme”, continuando poi a parlare di quello che per lei ha significato seguire questi due tracciati tanto diversi quanto simili, dal punto di vista pedagogico e umano. Con ciò possiamo collegare il suo modo di approcciarsi con i ragazzi e ragazze, infatti, cerca di far uscire da loro aspetti sensibili e consapevolezza delle proprie emozioni – cosa che sfocia in rabbia verso la vita e paura di esternare le proprie sensazioni.
Questo è particolarmente vero perchè nel suo lavoro si ha a che fare con soggetti fragili che hanno bisogno di essere accompagnati in un percorso di crescita e formazione.
Uno degli aspetti che rendono questa intervista importante per la riuscita del progetto mensile sull’autodeterminazione è la sua esperienza a Scampia come insegnante di sostegno, che sta, in qualche modo, cambiando il suo rapportarsi con le persone e i luoghi difficili in cui crescono i ragazzi spesso “buttati” in questo mondo troppo grande e complesso per loro, con dinamiche che sono fuori dalla portata di ragazzi e bambini, rendendo perciò la loro educazione e scolarizzazione sempre più impervia e limitata.
In tema con la parola del mese le abbiamo anche chiesto “cosa significa per te la parola “autodeterminarsi”? Come si può leggere nel contesto di un quartiere “difficile”, come ad esempio quello di Scampia?”
Risponde subito con questa frase “per me, autodeterminarsi è avere la possibilità di scegliere”, raccontando della situazione tra i ragazzi che segue e della insistente presenza di arrendevolezza nei confronti del futuro che hanno davanti, non sentendosi in grado di uscire dalla situazione in cui vivono, pensando di poter imboccare una sola strada, sentendosi completamente inermi alla vita. Difatti, continua dicendo che “educazione e scuola devono far entrare nell’ordine del reale che c’è un’altra strada” e senza parole di incoraggiamento e fiducia nei loro confronti non avranno mai la voglia e l’interesse nel migliorarsi a livello scolastico e interpersonale.
Se non si impara dalla scuola a creare una rete di conoscenza e socialità, nel mondo esterno le loro possibilità e capacità di decidere per la propria vita saranno sempre più limitate e offuscate dagli sbagli e dalla strada già disegnata per loro: “Per intraprendere un’altra strada devo credere in me stesso, pensare di essere capace e di potercela fare”, questo è ciò che ci dice Daniela in merito, portando poco dopo un esempio di una dinamica avvenuta nella classe in cui lavora dove, un ragazzo di terza media, dopo aver incrementato la fiducia nelle sue capacità mostrandogli con calma e gentilezza l’esercizio da svolgere, è riuscito a svolgere una potenza da solo, senza nessun tipo di aiuto esterno. Questo ci fa capire come queste piccole cose per i ragazzi siano grandi traguardi che solo l’insegnamento e l’educazione possono dare.
Questo per dire quanto sia lento il lavoro dell’educazione e che se c’è anche la minima possibilità, l’1% di miglioramento bisogna fare leva su quello.
La seconda domanda che le abbiamo posto è stata quella di raccontarci una storia/esperienza personale o che ha incontrato nel corso della sua vita, che le è sembrata simbolica per la parola autodeterminazione.
“La mia scelta, la mia di autodeterminazione”, così ha cominciato il discorso, per poi continuare convinta “ho sempre creduto in quelle cose”, riferendosi al percorso personale e formativo dei ragazzi che con tanta devozione e pazienza segue e aiuta ormai da anni.
Ha raccontato con convinzione come la sua esperienza del servizio civile in Brasile abbia cambiato la sua vita e la sua idea di approccio alla nonviolenza, tanto da affermare: “ho scelto di non volerla la violenza nella mia vita, di non agirla mai”.
Ricorda ancora affettuosamente come una volta tornata dal suo servizio, durante un colloquio con Rossano e Valeria abbia detto di “schifare la violenza” e di aver pianto in seguito a una domanda riguardante le sue impressioni sull’esperienza. Questo cambiamento di visuale è avvenuto rendendosi conto della violenza capillare presente in quei luoghi, citando le sue parole: “[…] in Brasile ho visto un altro tipo di violenza, più sottile.” Questo le ha fatto ripudiare ogni tipo di repressione o violenza, fisica o psicologica.
Ha preso una posizione ferma e convinta, ha deciso di fare di tutto per non rendere sue queste azioni, di essere gentile e assertiva non usando le maniere forti durante le discussioni o i litigi. Nel suo piccolo cerca di “piantare un semino microscopico”, per far si che i suoi modi e le sue azioni possano essere utili, oltre che a lei, soprattutto anche alle altre persone.
Comprendiamo quanto sia importante la possibilità di scegliere, di riuscire a cambiare la propria vita e di prendere un’altra strada nonostante se ne veda solo una. L’autodeterminazione è la capacità e la consapevolezza di poter riuscire con le piccole cose a vedere una visuale diversa del mondo e di conseguenza scegliere di avere una strada migliore da quella che ci è stata segnata.
Di Giulia Ruggeri
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