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LA COMPLESSITÀ DELLA PACE

21 Luglio 2022
LA COMPLESSITÀ DELLA PACE

UN MONDO POLARIZZATO

Le fasi del conflitto dei giorni nostri

Siamo a metà del 2022, la temperatura della Terra aumenta, i popoli si sparano, i rifugiati scappano. Potrebbe sembrare assurdo ma in realtà è così da anni.
In teoria dal passato dovremmo imparare qualcosa; eppure, sembra proprio che al genere umano piaccia fermarsi periodicamente nello stesso punto. Scoppiata la guerra in Ucraina, invasa dalla Russia, l’opinione pubblica si è polarizzata tra chi difende a spada tratta l’Ucraina e chi fa l’occhiolino all’invasore Putin.

È utile però analizzare il contesto per capire cosa ha portato alla guerra in Ucraina oggi. Dobbiamo però avere bene in mente che questo è soltanto uno dei tanti conflitti in corso nel mondo (ricordiamo Afghanistan, Yemen, Palestina, Libia ecc.).
Se andiamo ad approfondire scopriamo che l’inizio delle conflittualità ha inizio diversi anni fa. Nel 1932 l’Unione Sovietica si appropriò di tutte le terre dei contadini, chi si schierò contro l’espropriazione venne eliminato, nessuno poteva appropriarsi di parti del raccolto che non gli spettavano, questo creò fame e ostilità contro la Russia.

Un altro anno da non dimenticare è il 2014, il vero anno in cui nel Donbass inizia il conflitto. Otto anni fa in Ucraina ci fu una protesta molto accesa contro il presidente con morti e feriti. L’autorità del presidente ucraino venne fortemente messa in discussione, di conseguenza, in risposta alle proteste, la Russia si adoperò per occupare la Crimea.

All’interno del Donbass, una regione russofona, contemporaneamente dei gruppi organizzati presero il controllo con l’aiuto esterno della Russia, col fine di creare la Repubblica di Donetsk e la Repubblica di Lugansk, paesi che auspicavano ad essere indipendenti dall’Ucraina.
Nel 2015, vista la drammaticità della situazione, Russia e Ucraina fermarono gli scontri.

La Russia restituì le regioni ribelli all’Ucraina, che avrebbe dovuto concedere maggiore potere a quelle regioni. Chiaramente non si è mai arrivati ad una risoluzione altrimenti non saremmo al punto in cui ci troviamo oggi, a Febbraio Putin decide di riconoscere le Repubbliche indipendenti come parti della Russia, invadendo l’Ucraina.

Malgrado sia una vera e propria invasione, Putin spaccia l’operazione come “smilitarizzazione” del paese. La resistenza dell’Ucraina si è dimostrata molto più efficace del previsto e così il completamento della missione russa ha tardato ad arrivare e siamo ancora nel bel mezzo del conflitto.

Questo è in linee generali quello che è successo fino ad oggi nell’ultimo conflitto che ha attirato la nostra attenzione. C’è chi sostiene che è tutta colpa della NATO, che ha continuato ad espandersi senza pudore verso EST causando l’ira della Russia, e c’è chi sostiene invece che la NATO ha agito bene e che anzi tutti i paesi finora neutrali dovrebbero rispondere a questa guerra entrando nella NATO a difesa dell’Occidente.

La complessità della realtà: il mondo non è bianco o nero

Il punto su cui quasi nessuno si ferma a riflettere è uno ed è anche inaspettatamente semplice: il mondo non è o bianco o nero. Chi ha ragione e chi ha torto.
Quello che dovremmo sentire in TV, nelle interviste e nelle piazze è qualcuno che dica a tutti noi che la realtà è complessa, non esiste un unico punto di vista.

Il fatto è che nessuno vuole prendersi la responsabilità di dirci che il mondo è più complicato di quello che viene raccontato solitamente. Purtroppo, si sceglie sempre di semplificare, perché è più facile, perché piuttosto che assumersi la responsabilità di spiegare alle persone la complessità, si sceglie volontariamente di non sviluppare un livello di dibattito vero.

E allora accade che scoppia una guerra vicino l’Europa, si mobilitano spontaneamente le società in solidarietà al popolo oppresso finché, come sempre, tutto cade nel dimenticatoio.
Che fine ha fatto Zelenski? A che punto sono i tentativi di trattare la pace?
Mentre qualcuno si chiede se sia giusto o no mandare armi in Ucraina, dovremmo chiederci se sia corretto preoccuparsi soltanto di ciò che ci accade vicino.Yemen. Palestina. Siria, Afghanistan e altri numerosi conflitti sono in corso nel mondo. 59 guerre in corso secondo la ONG “Armed Conflict Location & Event Data Project”.

Costruttori di pace

E allora in un mondo che nei fatti risulta essere in guerra, c’è effettivamente qualcuno che costruisce la pace? Per fortuna si. In tanti lo fanno in diversi modi. Con progetti o azioni quotidiane, nei quartieri e nelle scuole, nei luoghi dei conflitti.
Per esempio, lo fa molto bene Emergency che si occupa di fornire cure mediche alle vittime di guerra. Possiamo leggere sul loro sito che tra il 1994 e il 2021 sono state curate gratuitamente più di 12 milioni di persone.

Se ogni cittadino del mondo avesse la possibilità di fare determinate esperienze, probabilmente nessuno asseconderebbe una guerra. Se tutti avessero la possibilità di attraversare fisicamente la propria città scoprendone le bellezze e i punti di debolezza si accorgerebbero che queste sono il centro delle nostre vite, e nessuno vorrebbe vederle distrutte.
Ancora oggi c’è nel nostro Paese e nelle città esiste un “centro” ben servito e delle periferie abbandonate, questo crea grosse disparità.
Il comune in cui nasci può determinare il tuo futuro. Se hai l’opportunità di frequentare un ambiente che ti trasmette dei valori e ti stimola a tracciare la tua strada probabilmente svilupperai un pensiero critico. Ma se vivi in periferia, dove la dispersione scolastica è molto alta, è molto probabile che il tuo diritto allo studio non verrà garantito e non avrai gli strumenti per costruire la tua strada.

Se tutti avessero invece le stesse possibilità di istruirsi e di sviluppare pensiero critico e nonviolento vivremmo in una società̀ diversa, dovremmo iniziare dalle scuole dei territori dimenticati con progetti pensati specificatamente per quei ragazzi.

Un paese che si prende cura delle fasce più fragili è un paese che costruisce pace, perché toglie queste persone dal rischio di subire violenze, ghettizzazione all’interno della società, esclusione.
Un cittadino che interiorizza questi valori e ne prende parte, per esempio, ad un flashmob che lanci un messaggio di non-violenza, attraverso i propri corpi, sarà una persona che non avrà problemi a schierarsi per una risoluzione pacifica del conflitto senza pensarci troppo sopra.

Chi partecipa alla costruzione di una “tenda della pace”, come simbolo di luogo di incontro, confronto, preghiera, silenzio, convivialità delle differenze, sarà pronto a prendere parte a iniziative umanitarie e di sostegno alle persone coinvolte, da innocenti, nei conflitti armati.
Chi ha il coraggio di prendere parte alla causa esponendo bandiere della pace durante la commemorazione della “vittoria” della prima guerra mondiale, avrà poi il coraggio ad essere di parte quando sarà necessario schierarsi. Oggi la pace la si costruisce nei luoghi dimenticati o in posti in cui si prova a correggere gli errori causati da un mondo pieno di disparità.

In provincia di Cassino c’è una comunità che aiuta le persone che hanno intrapreso strade tortuose, con storie di tossicodipendenze, alcolismo, precedenti giudiziari, a reinserirsi nella carreggiata.
Nella vita quotidiana siamo tutti uguali, non si sa esattamente la storia che ognuno può avere alle spalle, eppure alcune cose le si può capire aprendosi all’ascolto.

Ascoltando non solo la voce, ma le reazioni, i gesti, gli sguardi e i silenzi.

Tutto questo dice molto di come funziona una comunità, ma anche di come possiamo costruire un pezzo di pace, perché la guerra non è soltanto il conflitto armato, seppur rappresenta l’espressione massima di violenza.
La guerra è anche quella di ogni giorno, quella di chi viene abbandonato a se stesso e non sa come andare avanti, di chi sceglie le droghe come soluzione ai problemi, di chi non capisce in che strada si è infilato e lo scopre solo quando è troppo tardi.

Un pezzo di pace può essere rappresentato da uno spazio in cui tutti si sentono a casa, in cui ognuno di noi può portare il proprio bagaglio, in cui ci sentiamo protetti ma soprattutto un posto in cui costruiamo nuovi paradigmi di vita.
Ci sono le guerre di ogni giorno, e c’è la guerra vera fatta con armi e carri armati.

Chi vuole la guerra?

Anche se, forse, dividere i soldati dalle persone normali è una semplificazione poco veritiera.
Sono diverse le storie, raccontate da articoli di giornali, che raccontano di soldati russi che si arrendono e che dimostrano di non voler combattere la guerra.

L’immagine più famosa è stata quella del soldato russo accolto da alcune donne ucraine che lo hanno aiutato a mettersi in contatto con la madre.

Un’immagine forte che racconta un punto di vista nuovo: se la guerra non fosse voluta né dagli ucraini né dai russi? Di chi sarebbe la responsabilità della guerra?  La guerra, quasi sempre, non appartiene ai popoli ma ai governanti, a chi perde il contatto con la realtà di ogni giorno.

Un articolo di Avvenire ha come titolo “I sentimenti di pace e le preoccupazioni della gente comune” che centra perfettamente il punto: le persone non vogliono la guerra, non ne sono né attratte né interessate. Chi soffre vorrebbe soffrire di meno e chi non ha diritto alla salute o all’istruzione, vorrebbe riuscire ad averlo.

Le persone vogliono poter progettare la propria felicità, per farlo serve fiducia e speranza nel futuro. Che di certo non si costruisce col conflitto e con le armi.

Pace fra i popoli: una priorità

Siamo attraversati da una crisi politica, economica e sociale non indifferente. Nell’ultimo anno ci sono state diverse manifestazioni di pace sia nelle città sia nazionali e internazionali. In tante e tanti hanno chiesto di fermare l’escalation della guerra, si è chiesta più democrazia e responsabilità, uno dei messaggi che ricorre spesso è “più diplomazia, meno armi”.

Il fine di quelle piazze è provare a rivedere le dinamiche che interessano i rapporti fra paesi diversi che ancora oggi si comportano come fossimo divisi in blocco occidentale e blocco russo.
L’Unione Europea è un agglomerato di Stati, talvolta accomunati da interessi simili, altre volte con interessi specifici completamente diversi.
Ad esempio, un settore in cui sicuramente sarebbe importante costruire una politica comune è quello della politica estera che non risulta efficace.
Uno dei nodi problematici è il potere di veto che tutti i Paesi membri hanno, che spesso ha reso difficile un’azione comune nelle politiche europee, in molti sostengono che il diritto di veto non sia compatibile con il funzionamento dell’Unione Europea. Una delle proposte in campo è quella di passare dall’unanimità, necessaria per alcune materie, alla maggioranza qualificata.
Gli ambiti in cui al momento è prevista l’unanimità sono quelli della difesa, della politica estera e dei bilanci.
L’Unione Europea non è riuscita a esprimersi all’unanimità sulle sanzioni alla Russia, che avrebbero bloccato l’importo di petrolio a partire dal 2023. L’Ungheria, con a capo Viktor Orban, ha bloccato la scelta, che invece trovava d’accordo gli altri ventisei paesi europei. Non c’è la forza di un’unica voce in grado di farsi ascoltare.

Qualcuno negli ultimi mesi ha osato chiedere che i soldi destinati alla spesa militare venissero investiti su altro come ad esempio l’istruzione, la transizione ecologica e la riduzione delle disuguaglianze.
Il segnale sarebbe molto forte: l’Italia non investirebbe più ulteriori fondi per la spesa militare, ma investirebbe sul futuro, sull’istruzione e sulla formazione dei propri cittadini.
Al posto di giochi di potere tra nazioni e governi, da domani il mantenimento della pace tra i popoli dovrebbe diventare priorità assoluta.

di Damiano Di Giovanni

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