SALUTE MENTALE E DISEGUAGLIANZE SOCIALE
“La natura produce differenze e non disuguaglianze. È l’uomo che, con i suoi pregiudizi, i suoi comportamenti, le sue politiche, tende a trasformare le differenze in disuguaglianze e, una volta trasformate, a farle divenire motivo di tensioni, guerre, lutti”
(Giuseppe Alvaro, Dizionarietto, 2017)
Le righe che seguono sono state ispirate dalla lettura di un articolo di alcuni anni fa di Sara Ligutti a cui rimando per completezza di approfondimento[1].
Nei secoli l’organizzazione socioeconomica della popolazione umana è mutata, a partire dalle prime tribù di caccia e raccolta per passare poi alla società suddivisa in caste degli antichi egizi ed al feudalesimo nel Medioevo, arrivando infine nel Seicento del XVII secolo alla nascita delle prime forme di capitalismo come conseguenza dello sviluppo dell’industria moderna.
È in questo periodo che la sociologia si afferma come scienza, proprio grazie agli studi condotti sui fenomeni di devianza causati dallo stile di vita urbano.
In particolare, è la Scuola di Chicago che si dedica allo studio dei nuovi fenomeni di delinquenza, crimine e vizi, considerati delle minacce morali.
Con la nascita del sistema capitalista, e quindi delle industrie, masse di persone iniziano a spostarsi dalle zone rurali verso le città in cerca di fortuna. Ed è qui che giovani, abituati alla vita semplice di campagna si trovano a fare i conti con stili di vita del tutto diversi dai precedenti: il lavoro in fabbrica è un lavoro meccanico, ripetitivo, occupa gran parte della giornata del lavoratore e non gli permette di sentirsi parte di un progetto più ampio, l’operaio svolge tutti i giorni, per tutto il giorno, la stessa mansione che lo porta ad alienarsi dal lavoro svolto e addirittura da sé stesso. In preda allo sconforto, ridotto a mera macchina, sostituibile in qualsiasi momento, senza più un’identità o un lavoro che gli permetta di riconoscersi in un obiettivo socialmente utile, in condizioni di lavoro pessime, gli operai iniziano a rifugiarsi nell’alcool e nelle droghe che stordendoli per un po’, ne alleviano la sofferenza quotidiana. Ed è proprio in questo periodo storico che iniziano a nascere le prime bande giovanili, la criminalità organizzata, la prostituzione, l’alcolismo ed il vagabondaggio.
Dallo studio di vari sociologi, tra cui, Robert Park, William Thomas, Weber, Emile Durkheim, emerge poi, negli anni, come l’ambiente urbano post-capitalista è per sua natura culla fisiologica delle moderne forme di devianza. Questo legame tra disturbi della personalità e sistema lavorativo non si scioglie negli anni, ma arriva fino a noi.
Gli studi sul rapporto tra forme di comportamento degenerate, disturbi mentali e capitalismo moderno non si sono, infatti, arrestate negli anni, nel 2018 Richard Wilkinson e Kate Pickett pubblicano sul Guardian un articolo in cui analizzano il rapporto tra lo stile di vita moderno ed i problemi mentali, quali depressione, stress, burnout e autolesionismo.
Gli autori vogliono spiegare ai lettori come viviamo in un’epoca in cui è molto più importante dimostrare al “pubblico” quanto ci stiamo divertendo, piuttosto che divertirci veramente; è più importante mostrare quanto stiamo bene, piuttosto che prendersi davvero cura di noi stessi. Partecipiamo ad eventi mondani, feste ed incontri pubblici per poter poi postare sui nostri social “foto-dimostrazioni” che possano far vedere agli altri quanto la nostra vita sia perfetta ed invidiabile. Non diamo più importanza alla partecipazione in quanto momento di convivialità ed incontro, ma ogni evento, ogni uscita, ogni acquisto deve essere dimostrazione della nostra posizione sociale e del nostro benessere.
Ormai il collegamento mentale tra alto reddito e alta felicità ci risulta essere quasi innato, ma è davvero così?
Uno studio condotto qualche anno fa dalla Mental Healt Foundation ci dimostra esattamente il contrario. Il risultato mette in evidenza come il 74% degli adulti intervistati erano così stressati che non sentivano più di avere il minimo controllo sulla propria vita; quasi un terzo aveva pensato più volte al suicidio e il 16% si era causato dolore fisico, ed i numeri salivano nel caso delle donne e dei più giovani. Sono numeri che dovrebbero farci riflettere, può essere il guadagno e lo sfarzo l’unico, o il più importante, motore che ci spinge ad andare avanti nella vita?
Il cittadino tipo del 2022 insegue la ricchezza, perché da sempre convinto che ad alti redditi e ad alti consumi corrisponda altrettanta felicità. Ma tutti gli studi condotti finora sulla correlazione denaro/felicità ci dimostrano che le persone più ricche e più assorbite dalla cultura consumista sono anche le più infelici, le più insicure e quelle più colpite da disturbi mentali.
Succede spesso che alla notizia del suicidio di un personaggio famoso si risponda senza neanche pensarci troppo, con aria stupita qualcosa come “Come è possibile? Non gli mancava nulla” ed è qui che più di tutti emerge quel legame intrinseco tra benessere mentale e beni materiali che nasce nelle nostre menti fin da bambini. E così ci ritroviamo a rincorrere la felicità su una strada che riporta una segnaletica sbagliata, infatti, non è sempre vero che alla fine della strada che porta alla ricchezza troveremo anche la felicità.
Per sua natura il sistema capitalista è un sistema diseguale per cui il reddito non è mai ripartito in maniera equa tra gli abitanti del paese, questo porta alla formazione di forti diseguaglianze tra i cittadini, alcuni molto ricchi, altri molto poveri. Più alte sono le diseguaglianze più le persone saranno portate a pensare a loro stesse con ansia e vergogna e ad autodefinirsi dei falliti, questo perché i beni materiali diventano un parametro di misura per calcolare il valore di una persona, sia che ci si trovi in paesi ricchi come la Norvegia, sia in paesi più poveri come il Pakistan.
Gli studi condotti fino ad ora dimostrano come più le disuguaglianze in un paese sono alte più le persone appaiono imbevute di consumismo: per continuare a tenere noi stessi ben separati rispetto alla fascia di popolazione più povera continueremo a comprare, comprare e comprare così da dimostrare agli altri che il nostro status è il più elevato. Le disuguaglianze finiscono per acuire i livelli di ansia sociale e narcisismo, alla minaccia di svalutazione del proprio sé si può reagire in due modi opposti: gonfiando il proprio ego e quindi esaltando i propri averi fino all’inverosimile, ricadendo nel circolo vizioso del narcisismo; oppure ritirandoci dalla scena, finiremo così per evitare ogni occasione di incontro sociale per evitare di essere messi in discussione, andando incontro a disturbi d’ansia e depressione.
Molti studi di psicologia hanno mostrato come disturbi quali depressione, schizofrenia e psicosi sono molto più diffuse in paesi con un’alta diseguaglianza sociale, proprio per i motivi illustrati prima, i meccanismi di subordinazione e dominazione nelle società diseguali fanno salire alle stelle i tassi di malattia mentale.
Come fare quindi ad affrontare la minaccia dei disturbi mentali?
Buone relazioni e una partecipazione sana alla vita sociale hanno dimostrato di essere fattori determinanti per la salute e la felicità. Oltre a prenderci cura di noi stessi e a rivolgerci a chi di competenza, nel caso in cui ci rendessimo conto di non stare bene, è importante anche creare una rete salubre di contatti intorno a noi, quindi è importante che riusciamo a creare oppure ad inserirci in una comunità sana, in cui le persone possano fidarsi le une delle altre, in cui ci sia la volontà di aiutarsi gli uni con gli altri ed in cui il valore di una persona non venga calcolato in base all’ostentazione dei propri averi, ma in base alla sua personalità, alle sue idee e ai suoi valori.
di Pamela Prosseda
[1] https://www.largine.it/index.php/ansia-da-disuguaglianza-il-legame-fra-disuguaglianze-e-salute-mentale/
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