“Possa la via Zamenhof virtuale condurre l’umanità non alla benevola strage, ma alla tolleranza, alla comprensione reciproca, alla fratellanza. Possa essa condurre il mondo eternamente in guerra, alla pace di una grande famiglia di popoli. Le loro diversità cessino di essere causa di odio reciproco, ma divengano comune e armoniosa ricchezza”
Con queste parole l’unico erede di Zamenhof sopravvissuto alle deportazioni naziste, in un’intervista poi pubblicata in un libro in esperanto tradotto in italiano come ”Via Zamenhof”, esprime tutta l’essenza di quello che è stato l’ideale legato ad una visione avveniristica che spinse Ludwik Lejzer Zamenhof a creare una lingua comune a tutti i popoli: l’esperanto.
Zamenhof nacque il 15 Dicembre 1859 a Bialistok, in Polonia, una città internazionale in cui le diverse culture presenti convivevano in un costante rapporto di prevaricazione. Racconta lui stesso come bastasse andare nella piazza della fiera per vedere le persone di diverse etnie attaccarsi l’un l’altro pur non comprendendosi fino in fondo.
Trasferitosi poi a Varsavia per studiare, notò subito con dispiacere come anche in quella città non vi fosse una comunità eterogenea composta da uomini, ma gruppi ben distinti di ebrei, russi, polacchi e tedeschi e come ciascuna di queste etnie pensasse solo alla propria identità e alla propria nazione, con una mancanza totale di visione comune volta allo scambio e all’arricchimento reciproco.
Fu grazie all’esperienza vissuta sulla sua stessa pelle, essendo egli ebreo e soggetto a discriminazioni antisemite che fin da giovane tentò di trovare una soluzione alle relazioni conflittuali presenti tra i vari popoli. Come lui stesso afferma in una sua lettera pubblicata successivamente: ”Solo un ebreo del ghetto, obbligato a pregare Dio in una lingua morta già da lungo tempo, educato ed istruito in una lingua di un popolo che lo respinge e che ha dei compagni di sofferenza sparsi per tutto il mondo, può sentire così fortemente l’infelicità della divisione umana”. Aiutato quindi anche dalla sua vasta conoscenza linguistica, credette che il limite principale alla comprensione reciproca e alla fratellanza tra i popoli fosse la mancanza di una lingua comune; fu così che, mosso dalla sua passione per le lingue, già all’età di 19 anni decise di creare una prima bozza di lingua universale chiamata Lingwe Uniwersala.
Questa purtroppo andò persa in un incendio, ma gli permise, ragionando sui limiti e gli errori della prima lingua da lui creata, di mettere a punto e pubblicare all’età di 28 anni la prima versione di Lingvo Internacia, quella che poi sarebbe diventata l’Esperanto. Una lingua semplice, fatta per appianare tutte le diversità linguistiche e permettere a chiunque di sentirsi parte dell’umanità e non di un paese specifico.
Ma la mente idealista e sognatrice di Zamenhof non si fermò solo alla lingua universale, ben presto comprese che vi era un altro grande ostacolo che oltre alla barriera linguistica impediva l’unione dei popoli, ovvero l’appartenenza alle varie religioni, e come essa fosse motivo di un allontanamento ancora più marcato tra le persone.
Fu per questo che iniziò a teorizzare anche una dottrina filosofico-religiosa comune: l’Homaranismo.
Questa dottrina, che in italiano può essere tradotta come Umanitarismo, era, più che una religione, una serie di princìpi laici ai quali i seguaci dovevano ispirarsi per garantire la libertà di espressione e la promozione di diritti ugualitari per tutti, cercando di mettere in evidenza quelle che sono le affinità tra le varie religioni, e non le differenze, in modo tale da ottenere una convivenza pacifica tra persone di diversi credo.
Risulta chiaro dunque come per Zamenhof l’esperanto e l’homaranismo non fossero altro che mezzi necessari per un progetto moralmente molto più alto e per molti utopico, ma al quale tutt’oggi ancora tanti di noi credono, ovvero la comunione fra tutti gli uomini.
Sfortunatamente la sua dottrina umanitaria non ottenne lo stesso successo della lingua comune, e molti degli stessi che avevano aderito all’uso dell’esperanto e ne promuovevano la sua diffusione, furono ostacolo all’espandersi dell’homaranismo.
Morto nel 1917, poco dopo la fine della Prima guerra mondiale, dove le distanze messe fra i popoli sembravano abissali e le voci delle lingue parlate tra i soldati erano coperte dal rumore assordante delle bombe, purtroppo Zamenhof non riuscì mai a vedere il suo sogno realizzato.
Ma i suoi semi di fratellanza, condivisione, comunione e pace continuano a mettere radici forti nei parlanti dell’esperanto (ad oggi all’incirca due milioni) che annualmente si incontrano in un congresso itinerante per conoscere la cultura del posto e condividere idee e ideali, e portare avanti il frutto del duro lavoro del Doktoro Esperanto (“Dottore speranzoso”), pseudonimo che Zamenhof si diede, e con loro molti di noi che come lui non smettiamo di credere e di lottare in una comunità globale che si prodiga per il bene comune.
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