COME STAI?

Una domanda che non andrebbe fatta soltanto per la giornata mondiale della salute mentale
Il malessere psichico non viene ancora riconosciuto ed accettato nel nostro Paese.
Quando si parla di salute ci si riferisce immediatamente a quella fisica, non considerando il malessere psichico.
Ci hanno insegnato che ci rende più affidabili mostrarci forti e non mostrare mai le nostre paure.
Fingere di stare bene per non disturbare, per non creare preoccupazioni in chi ci sta intorno.
Lunedì 10 Ottobre si celebra la giornata mondiale della salute mentale, una data che ci fa riflettere su tutto quello che abbiamo attraversato negli ultimi anni.
A volte ci illudiamo che quello che ci succede intorno non abbia ripercussioni su come stiamo, ma non è così.
La guerra, lo stress, la velocità del mondo che gira, il lavoro, la famiglia, la scuola, l’università.
Il benessere psicologico ancora oggi rimane un taboo, chi sceglie di iniziare un percorso con lo psicologo è etichettato come “malato” o comunque “strano”.
Viviamo in una società che mette in vetrina continuamente l’eccellenza, si deve sempre fare di più, sono troppi i casi mediatici che raccontano di individui bravissimi, che portano avanti una narrazione secondo cui se non hai una media alta nei tuoi esami sarà perché non sai concentrarti sulle cose veramente importanti.
Quali sono le cose davvero importanti?
Il futuro è instabile e la salute mentale, soprattutto tra le giovani generazioni, ne risente.
Questa giornata cade a pennello nell’anno in cui si è iniziato a parlare del sostegno psicologico come un diritto e non più come un lusso.
Quest’anno è stato approvato il “bonus salute mentale”: saranno stanziati nel 2022 in totale 20 milioni di euro, di cui 10 milioni da destinare al miglioramento delle strutture e al perfezionamento dell’efficienza dei servizi di salute mentale.
La somma restante sarà dedicata ad un voucher di 600€ da erogare in base all’ISEE.
Questa misura rischia però di essere un cerotto su una ferita difficile da rimarginare, perché non in grado di rispondere efficacemente ad un bisogno.
Infatti, non sarà accessibile a tutti e non potrà coprire tutti i costi di un servizio che ad oggi rimane insostenibile sul lungo termine.
Durante il 2022 è nata tra alcune organizzazioni studentesche la necessità di dare vita ad una campagna che prende il nome di “Chiedimi come sto” che ha avuto l’obiettivo di creare un’indagine sulla salute mentale dei giovani. Sono state più di 30.000 le risposte a più di trenta domande.
L’indagine lancia un allarme. Il 60,3% di chi ha risposto è molto preoccupato sulla propria salute mentale, il 28% ha avuto Disturbi del Comportamento Alimentare, secondo il Ministero della Salute, i soggetti che soffrono di DCA sono circa 3 milioni. Solo dopo la Pandemia, però, si è registrato un boom del 30% di questi disturbi. La stragrande maggioranza sono donne e sono giovani.
Il 14,5% di chi ha risposto al questionario ha avuto episodi di autolesionismo, il 64% ha subito un cambiamento nei ritmi del sonno durante il lockdown.
Durante la pandemia le parole chiave sono state noia, demotivazione, solitudine, ansia e paura.
Il 60% di chi ha risposto, rivolgendosi al proprio futuro ha dichiarato che lo vede precario e critico, il 90% vorrebbe un supporto psicologico nelle scuole e nelle università.
I luoghi dove il futuro dovrebbe crescere e formarsi sono permeati da una logica del profitto che è entrata da tempo dentro le nostre scuole e le nostre università, che assomigliano più a delle aziende con meccanismi prestabiliti che a luoghi della cultura.
Il merito è una delle più grandi bugie che ci viene raccontata sin da quando siamo bambini.
E’ stata creata una cultura individualista dove ognuno è da solo nel dover “conquistare” le proprie opportunità per merito personale.
In realtà le possibilità dipendono spesso dalla capacità economica, dal contesto sociale e culturale che ci circonda.
Tutti vorrebbero avere una vita di successo, non tutti hanno gli strumenti per poterci riuscire a mani nude.
L’esaltazione dell’eccellenza diventa così uno strumento di condizionamento reale del nostro modo di pensare. La competizione, l’ansia di fare in fretta, l’aspettativa dei risultati portano ad ansia, stress e depressione, che sono solo effetti collaterali di questo scontro sociale perenne.
Un percorso di studi non dovrebbe essere un momento della vita che isola e fa stare da soli, ma dovrebbe migliorare le condizioni degli studenti in un sistema che dovrebbe azzerare le disuguaglianze e dare a tutti le stesse possibilità.
La competizione, quando vissuta in maniera frenetica, non è sana e non è sostenibile.
Chi vuole primeggiare, essere sempre un po’ più avanti, superare i compagni di viaggio, crea insicurezza e scarsa autostima in chi rimane indietro.
Oggi più che mai dobbiamo contrastare l’alienazione delle persone che si sentono sole, di chi è alla ricerca di rimedi contro la paura e l’insofferenza. Purtroppo accade quello che non dovrebbe mai accadere: che dei ragazzi smettono di sopportare la pressione sociale che è stata messa sulle loro spalle, e decidono di non voler continuare questa vita. A causa di un esame, o di una mortificazione in ambiente scolastico.
Sono diversi i casi negli ultimi anni.Per costruire una società che non lasci indietro nessuno, sarà fondamentale insegnare i valori della cooperazione e dell’ascolto.Nessuno deve avere paura di chiedere aiuto in un momento di difficoltà.
Oggi tantissimi si ritrovano chiusi in se stessi, non parlano del proprio dolore, ma abituarsi al malessere non aiuta a stare bene. La vera sfida sarà imparare a non vergognarsi più, sarà sentirsi liberi di ammettere di non stare bene. Tutti hanno il diritto di trovare questa libertà.
di Damiano Di Giovanni
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