Skip to main content

DIPLOMAZIA PER LA PACE

17 Aprile 2023
DIPLOMAZIA PER LA PACE

‘’L’Italia ripudia la guerra’’

Art.11 Costituzione italiana

La convivenza tra diverse identità non può che provocare contrasti. 

Vivere uno spazio politico e geografico comune significa necessariamente dover fare i conti con le necessità dell’altro, che fisiologicamente si ritrovano a rispondere a interessi e obiettivi diversi. Quando tali esigenze si fanno così significative da diventare motivo di scontro, si genera un conflitto. 

Ogni conflitto chiede risoluzione. 

Nel mondo contemporaneo, questa risoluzione può avvenire attraverso due modalità: la pace o la guerra. Tanto nel microcosmo quanto nei macro contesti di ordine geopolitico, lo scioglimento dei nodi conflittuali può avvenire quindi o tramite il dialogo o tramite la forza.

Per questa ragione, nel fragile e complesso scenario delle relazioni internazionali, numerosi Paesi accomunati dalla tragica esperienza delle due guerre mondiali hanno deciso il 24 ottobre 1945 di costituire un luogo politico dedicato alla pace e alla risoluzione dei conflitti: le Nazioni Unite. Uno strumento di diplomazia, strutturato e condiviso, pensato per ‘’salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grande e piccole’’.

Così recitava la prima parte dello Statuto delle Nazioni Unite, stipulato a San Francisco per coordinare le tante identità unite verso il nuovo e urgente obiettivo della pace e della sicurezza internazionale. Si formava così una nuova entità collettiva che si proponeva di sviluppare relazioni amichevoli fra le nazioni e di cooperare nella risoluzione dei problemi internazionali e nella promozione del rispetto per i diritti umani. In quell’ottobre postbellico, per far fronte alla minaccia di nuovi conflitti internazionali, gli stati appartenenti all’ONU si dettavano nuove regole di condotta, che troviamo ancora oggi riassunte nella parte 3 e 4 dell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, attraverso le quali ogni membro si impegnava a risolvere le proprie ‘’controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo’’, astenendosi ‘’nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite’’.

Poco più tardi, il 24 marzo del 1947, l’Assemblea Costituente impegnata nella stesura della Costituzione per la neonata Repubblica italiana, si impegnava ad approvare un articolo che condannava la guerra come strumento di offesa e che dichiarava l’interesse dell’Italia a rispettare i valori e le organizzazioni internazionali rivolte al mantenimento della pace. Così, lo Stato italiano proclamava la propria rinnovata attitudine al pacifismo e si instaurava in una dinamica che favoriva lo sforzo diplomatico in caso di controversie internazionali. 

Così recitava e recita ancora oggi l’undicesimo articolo della Costituzione: ‘’L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo’’

Quattro anni dopo la nascita delle Nazioni Unite come strumento diplomatico, il 4 aprile 1949, fu però firmato a Washington anche il patto atlantico, un trattato difensivo che avrebbe dato vita alla North Atlantic Treaty Organization, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, anche detta NATO, ovvero un’alleanza militare intergovernativa che chiamava ognuno dei paesi firmatari al rispetto del principio della ‘’difesa collettiva’’. L’articolo 5 del trattato, senza mezzi termini, impegnava i paesi membri ad imbracciare le armi qualora fosse necessario e sosteneva: 

«Le parti concordano che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in America settentrionale, deve essere considerato come un attacco contro tutte e di conseguenza concordano che, se tale attacco armato avviene, ognuna di esse, in esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva, riconosciuto dall’articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti attaccate prendendo immediatamente, individualmente o in concerto con le altre parti, tutte le azioni che ritiene necessarie, incluso l’uso della forza armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell’area Nord Atlantica.»

Sono ormai passati 78 anni dalla nascita delle Nazioni Unite come strumento diplomatico e decine di conflitti internazionali hanno continuato a flagellare la storia contemporanea: dalla Corea al Vietnam, dalle guerre del Golfo alle guerre Jugoslave, i firmatari di quel documento che assicurava pace e sicurezza, sono stati proprio gli attori principali dei più atroci e ingiustificati conflitti del nostro tempo. 

La diplomazia troppo spesso ha ceduto il passo al terrore delle armi, alla minaccia della forza che non conosce compromesso o mediazione, che avvilisce la possibilità del dialogo e mescola arbitrariamente interessi e voci. In uno scenario di rapporti di potere nel quale troppo facilmente la forza militare ha garantito il diritto all’offesa, la diplomazia troppo spesso ha rappresentato uno strumento inutilizzato e sacrificato all’interesse delle parti. Troppo spesso, la diplomazia si è immaginata come un attore che interviene solo quando la guerra ha ormai già seminato il suo danno. 

L’azione diplomatica però, non può essere solo risoluzione di conflitti già accesi e inaspriti, ma deve rappresentare anche una possibilità di prevenzione dell’azione militare. 

In questo senso, la diplomazia non deve essere solo difesa, ma deve farsi forza costruttiva.  

Deve muovere i suoi fili per garantire sviluppo internazionale, rispetto dei diritti dell’uomo e protezione contro i rischi ambientali. Tutto questo deve rappresentare una premessa solida e capace di garantire una sicurezza e una pace che non siano solo assenza di guerra, ma che siano anche una garanzia di vita sostenibile e di valore per ogni popolo. In questo modo, la diplomazia potrebbe finalmente utilizzare i suoi mezzo per cogliere l’opportunità di costruire una cultura di pace e di promuovere una cultura del dialogo che possano mettere le basi per una cooperazione mirata allo sviluppo e una co-progettazione destinata a disegnare un futuro comune. 

Jessica Eterno per la redazione

Rubriche
Appunti di vista
Lascia un commento

Rispondi

Rimani aggiornato con i nostri eventi
Iscriviti alla Newsletter di Appunti di Pace