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EDUCAZIONE

15 Ottobre 2023
EDUCAZIONE

Il compito del moderno educatore non è di disboscare giungle, ma di irrigare deserti.
C.S. Lewis
Educazione: “Masticare come si deve”, diceva il padre. E masticavano bene, e facevano ogni giorno una passeggiata di due ore, e si lavavano con acqua fredda. Diventarono tutti uomini infelici e mediocri.
Anton Čechov


Studiare l’etimologia di una parola è come tracciare un lungo, accidentato elettrocardiogramma della vita della coscienza collettiva. Irregolare, sofferto, sospeso. Il pensiero respira, le parole vivono, giocano, si estendono. E soprattutto mutano con noi.

Una parola che ha indossato tanti volti, attraversato tante vite, è stata “educazione”. Tutti siamo d’accordo nel considerarla un fondamento primario, propedeutico allo sviluppo di sè e alla partecipazione responsabile alla dimensione sociale, intellettuale, morale.  Ma quali significati le attribuiamo? Che ruolo assume concretamente nella nostra quotidianità?

La disciplina che si occupa dello studio di questo concetto e di tutto ciò che concerne la formazione della persona è la pedagogia. Questa scienza viene erroneamente circoscritta alla fanciullezza ma in realtà la sua lente copre tutta la vita dell’individuo, partendo dal presupposto che non esiste un solo momento nel percorso esistenziale in cui il processo di formazione si potrà definire compiuto. La compiutezza è stasi, morte.

Nondimeno il primo contatto con la trasmissione di informazione sorge e si manifesta in uno spazio relazionale, nello specifico quello primigenio e verticale della prima infanzia. Un apprendimento che procede per mimesi, un’economia degli sforzi che ci definisce in continuità e in contrapposizione con l’esterno. Imitiamo le prime figure con le quali entriamo in relazione, che diventano i nostri mediatori di esperienza. Figure che rivestiamo di incantata e confusa autorevolezza per permettergli di forgiarci, diradando le prime nebbie di un mondo caotico, squillante, dolorosamente incomprensibile. Per sua natura, questo processo è per forza di cose sfaccettato e tocca molteplici piani.

L’etimologia della parola ci racconta una storia curiosa.
Educare
 in latino era la forma intensiva di  “educere”, letteralmente “estrarre, cavare fuori”. E cosa potrebbe dirci questa definizione sulla sensibilità di un mondo andato se, per dirla con Wittgenstein, “i confini del nostro linguaggio rappresentano i confini del nostro mondo”? Potrebbe essere velleitario ma non privo di magia rievocare (sognare?) un tempo in cui il compito dell’educatore fosse indistinguibile dalla missione di un facilitatore, un accompagnatore di processi, intuizioni, fantasie e cognizioni già presenti in potenza nell’educando ma ancora assopiti.

Una prospettiva che risuona fortemente con il metodo socratico. Socrate nel V secolo a.C. aveva concepito la maieutica, un approccio dialettico che attraverso l’impiego di un fitto dispiegarsi di domande e risposte, puntava allo sviluppo di una consapevolezza spontanea e demistificata nell’interlocutore. Il maestro non è un affabulatore e non si avvale di sofismi, ma asseconda una terapia dell’anima attraverso una modalità che ricorda l’attenta premura di una levatrice.

Infatti nella cornice culturale della Grecia antica, l’educazione (paidéia) era volta non alla consegna acritica di nozionismi bensì all’affinamento di facoltà e virtù morali. Lo scopo era quello di formare cittadini retti e consapevoli in grado di partecipare attivamente alla vita sociale.
Gli insegnamenti erano multidisciplinari, spaziando dallo studio di materie scientifiche alla cura del corpo, in ossequio alla concezione greca della complementarità tra “bello” e “buono”.

In epoca romana la formazione della persona viene definita dall’aderenza ai principi del mos maiorum, un complesso apparato di precetti costruiti attorno al senso civico, il rispetto delle leggi,l’irreprensibilità morale, il culto della tradizione. Viene ridimensionato l’aspetto individuale per favorire il collettivo, la res pubblica, secondo il principio che l’umano è un essere eminentemente politico, nato per il bene comune e non per sé.

È risaputo che nei periodi di profondi sconvolgimenti la religione rappresenti un faro e un basamento di certezze, ed è (anche) per questo che nel periodo medievale l’educazione era profondamente connessa al sentire religioso e incentrata sulla formazione spirituale dell’individuo. In questo clima si afferma la Scolastica, il primo vero organismo educativo sistematico su larga scala voluto da Carlo Magno per rinsaldare l’unitarietà dell’impero. Proprio in questo momento l’insegnamento, nonostante in larga parte appannaggio del clero, inizia a secolarizzarsi aprendosi allo studio delle arti liberali (discipline scientifiche e umanistiche).

E’ però dal Rinascimento che assistiamo a una completa riscrittura del modello educativo. Emerge l’homo universalis, l’archetipo del sapiente a tutto tondo, competente in tutte le branche dello scibile.  Diventa preponderante il lemma “sapere è potere”, l’uomo diventa il centro dell’universo.  

E dopo cosa accade?       

Nell’epoca moderna la prospettiva attualmente più diffusa vede l’educazione come un termine ombrello che ha raccolto a sé anche i campi semantici dell’istruzione e dell’etichetta morale. L’educazione ha assunto sempre più i connotati di un pedante rispetto di regole preimpostate.
 
Mark Twain una volta scrisse che “L’educazione è la difesa organizzata degli adulti contro la gioventù”, e penso che questa visione incapsuli appieno la concezione moderna dell’insegnamento. Uno strumento di controllo, come i primi racconti cautelari da cui nacquero le fiabe. Un rinforzo di tabù. La morale è che la morale è sempre un monito, un indice spigoloso imperiosamente alzato.

Non è difficile ormai sentir parlare di maleducazione non appena ci si permette di offrire una prospettiva altra a un rigido protocollo, tant’è che il termine si è esteso anche all’ammaestramento di un animale non umano.

Un’idea molto spesso trascurata è accettare che l’educazione non è mai unilaterale. Ogni volta che ci protendiamo all’esterno, ciò che insegniamo ci sta insegnando. Ciò che stiamo osservando ci ha già osservato.

Siamo permeabili, le nostre esistenze deformano l’universo. Abbiamo il potere di seminare, fecondarci. Conoscerci per conoscere.
Educare non è generare bonsai ornamentali menomando la fantasia.
Educare non è infantilizzare.

Educare è entrare scalzi in punta di piedi nel sacrario di un’altra vita. È giocare con le idee e le forme, con la consapevolezza che la verità è una arcigna bugia. Educare è credere alle realtà delle miracolose illusioni che colorano i nostri universi. Sfiorarci con rispetto commosso.

Per la Redazione

Giovanni La Bella

Piero Angela sull’Educazione

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