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IL FEMMINILE

8 Febbraio 2023
<strong>IL FEMMINILE</strong>

Consistenza del mondo e della psiche

«Egli creò il cielo e la terra». 

Egli, Marduk, figlio di Ea, al culmine della cruenta battaglia con Tiamat, genitrice delle prime divinità del cosmo, creò il cielo e la terra.

Li creò con il sangue, il capo, il seno e tutte le membra di Tiamat, modellando un mondo nuovo con la carne di un corpo femminile. 

É quanto ci è stato tramandato dal poema cosmogonico babilonese dell’Enūma Eliš, risalente al regno del re Hammurabi, in quel racconto che segue le tracce di realtà primordiali ancora in costruzione, di un ordine universale non ancora compiuto e di crudeli lotte familiari tra divinità potenti e dispettose. Si tratta di una testimonianza remota che ci trasporta in un momento della storia umana in cui le rappresentazioni immaginifiche collettive trovavano la propria soluzione in un vincolo insolubile tra l’elemento femminile e la carne del mondo. Queste immagini hanno nutrito a lungo i racconti sull’origine del cosmo, prima e dopo la trascrizione delle mitologie babilonesi: da Mannu, dea sumera della creazione, alla greca «Gaia dall’ampio petto», superficie della terra e madre universale, gli antichi racconti della storia ci hanno descritto a lungo una consistenza del mondo tutta femminile.

Eppure, nelle cosmogonie che hanno raggiunto il nostro tempo, questo elemento femminile non si è risolto mai nella sola dimensione materna, ma ha descritto piuttosto una profondità eterogenea, caotica e molto spesso contraddittoria, che poco ha a che fare con quella figura generatrice e benevola alla quale il dettato cristiano ci ha abituati. Ne è un esempio proprio Tiamat, divinità tanto protettrice quanto terrificante, che fa la sua comparsa nel pantheon babilonese come madre dispensatrice, ma che ben presto si trasforma in una figura spaventosa e vendicativa che non si fa remore a uccidere i suoi stessi discendenti. Il femmineo delle antiche tradizioni è intessuto di una complessità e di una problematicità che non solo ci restituisce una visione antica del cosmo e dei suoi elementi, ma che ancora oggi si può ripercorrere per analizzare l’ambiguità del mondo psicologico umano. 


Questo è stato l’obiettivo della ricerca di Carl Gustav Jung, che ha dedicato gran parte della sua vita all’analisi di quelle figure discrepanti e conflittuali dei racconti della tradizione, che secondo lo studioso, altro non sarebbero che la rappresentazione di elementi psichici collettivi: gli archetipi. 

Tra questi, Jung descrive proprio la Grande Madre, intesa come paradigma ambivalente di uno spirito allo stesso tempo generatore e divoratore, presente nella realtà psicologica di ogni essere umano. Si tratta di un modello transpersonale che a prescindere da ogni distinzione di genere, tratteggia un’attitudine umana che da cura benevola diventa forza dannosa che impedisce lo sviluppo e l’autonomia dell’altro. 

Eppure, l’archetipo del femminile per Jung, si condensa soprattutto in ciò che lui chiama Anima, intesa come un elemento strutturale ed essenziale dell’inconscio umano.

Secondo Jung, nel rapporto con la propria Anima e quindi con il proprio femminile, l’uomo formerebbe se stesso imparando il rapporto con il proprio inconscio. Nel matrimonio tra la dimensione del femminile e quella del maschile si costituirebbe quindi ogni essere umano. Jung ci descrive un’interezza che si confronta con l’antitesi, con il diverso da sé. Ci racconta un’individualità che non può formarsi restando da un lato del binomio, ma che deve riconoscere il proprio equilibrio proprio nell’ambivalenza. Ci parla di un maschile che si può dire tale solo nell’accettazione della propria controparte e viceversa, e ci insegna a non sacrificare il percorso dell’identità alla sicurezza di un muro. 

In un contesto come quello di oggi, in cui l’identità ha deciso di accettare il rischio della liquidità e ha iniziato a tingersi di colori nuovi, la lezione di Jung – immensamente tanto più complessa di quanto si possa riuscire a riassumere in poche parole – ci insegna finalmente il valore di una soggettività che si riconosce mista e ambigua.

Ora, ci si può solo chiedere che forma prenderà ciò che è già stato anima dell’uomo e corpo del mondo. 

di Jessica Eterno

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