UNA PAROLA MOLTI DIRITTI
Dall’Iran all’India, sul corpo delle donne
In queste ultime settimane, si è parlato molto dell’Iran e della morte di Mahsa Amini, una donna arrestata a Teheran dalla polizia “morale” iraniana il 13 settembre di quest’anno perché non indossava l’hijab nel modo previsto dalla legge e morta tre giorni dopo. In seguito a quest’evento, si è scatenata un’ondata di proteste in tutto il Paese.
Nel racconto fatto dai mezzi di comunicazione occidentali, è stata spesso posta l’attenzione sull’opposizione all’obbligo di indossare l’hijab mostrata dai manifestanti, compiendo così una scelta narrativa quasi faziosa e, in alcuni casi, islamofoba. Infatti, la questione non può essere affrontata assumendo il punto di vista che nessuna donna voglia indossare l’hijab: senza pretesa di completezza a livello politico o religioso sui motivi delle proteste, il punto non è non voler indossare il velo, ma la richiesta di poterlo non indossare, di veder rispettata la propria autodeterminazione anche nel vestirsi.
Queste proteste in Iran sono contemporanee ad una situazione opposta in India, dove, invece, è vietato indossare l’hijab e molte donne e ragazze chiedono che venga, invece, riconosciuto il loro diritto di portarlo. Il parallelismo tra queste vicende è talmente evidente che un alto funzionario del governo indù ha addirittura citato le proteste in Iran per giustificare la legge contestata, durante una seduta della Corte Suprema.
È evidente, dunque, che la scelta di raccontare solo un lato di queste storie è strumentale e come già detto, islamofoba, oltre che imprecisa.
Il punto focale è il diritto all’autodeterminazione, in questo caso religiosa, ovvero l’essere liberi di indossare i simboli della propria religione o di non indossare quelli che non rispecchiano il proprio credo. Nel caso specifico dell’hijab, che è un indumento femminile, entra in gioco anche l’autodeterminazione dei corpi (femminili), troppo spesso ostacolata.
Parole e diritti
Per questo, per il mese di novembre, la nostra redazione ha scelto di chiedersi: cosa vuol dire autoderminazione?
Riportiamo dal vocabolario Treccani la seguente definizione:
autodeterminazióne s. f. [comp. di auto e determinazione].
a. In filosofia, l’atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge, indipendentemente da cause che non sono in suo potere.
b. In diritto internazionale, a. dei popoli, lo stesso che autodecisione dei popoli (v. autodecisione).
2. In topografia, operazione con cui s’individua sulla carta la propria posizione (punto di stazione).
3. In embriologia, sinon. di autodifferenziamento.
Quindi, in modo analogo al termine inglese self-determination, è una parola composta da “auto” (dal greco αὐτός, stesso) e da “determinazione” (dal lat. determinatio –onis).
Spesso si parla di diritto all’autodeterminazione riferito ai popoli.
A livello giuridico, è citato nel Primo capitolo della Carta delle Nazioni Uniti (che è dedicato dedicato ai fini e ai principi dell’ONU):
«Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-determinazione dei popoli…» (art. 1, par. 2)
In seguito, questo diritto è stato sancito e definito anche in altre convenzioni internazionali, come nel Patto Internazionale sui Diritti civili e Politici del 1966 o nella Dichiarazione relativa alle relazioni amichevoli ed alla cooperazione tra Stati.
La scelta linguistica di usare la parola “popolo” e non “stato” è particolare, poiché non esiste una definizione di popolo in nessuna norma giuridica internazionale, quindi rende complicato definire a chi si riferisca quest’espressione. Inoltre, il principio di autodeterminazione non ha effetti retroattivi (se non in ambito coloniale) perché si voleva evitare di ridiscutere i confini nazionali disegnati in seguito alla fine dei conflitti bellici del XX secolo. Questo vuol dire che un popolo che è parte della popolazione di uno Stato sovrano non può appellarsi al diritto di autodeterminazione fino ad arrivare a una scissione.
Questa incertezza rende possibili alcune situazioni di conflitto interno ad uno o a più Stati: per esempio, è la situazione dei Curdi in Turchia, in Iran, in Iraq e in Siria.
Il diritto all’autodeterminazione dei popoli può essere usato come chiave di lettura più ampia per rileggere alcuni dei temi e dei diritti che abbiamo trattato in passato: ad esempio, il diritto di non essere contattati dei popoli incontattati oppure quello di ricevere un’istruzione che rispetti le proprie origini e tradizioni.
Una storia circolare
E quando si tratta dei singoli individui? Cosa vuol dire, in questo caso, diritto all’autodeterminazione?
Si tratta del riconoscimento della capacità di scelta autonoma e indipendente dell’individuo. Il termine, in realtà, è stato coniato proprio in questo senso all’interno dei movimenti femministi, a partire dalla rivendicazione della totale autonomia sulla gestione del proprio corpo, prima ancora che il significato si ampliasse e si iniziasse a parlare di autodeterminazione dei popoli.
Non è un caso che per introdurre l’argomento siamo partiti dalle proteste in Iran e in India, entrambe partite dalla volontà di un governo di decidere cosa le donne debbano o non debbano indossare: riconoscere a un popolo il diritto di definirsi, governarsi è strettamente legato al riconoscere ai singoli quello di autoaffermarsi.
È ovvio che, quando vengono negati i diritti a una comunità, i singoli appartenenti ad essa avranno meno diritti degli altri e che, a forza di negare i diritti dei singoli, si arriva a negarli ad intere comunità.
Per sempre in lotta(?)
Per concludere, vi lasciamo una canzone su una storia di autoaffermazione, di qualcuno (nello specifico una donna) che grida
«E anche se il mondo può far male
Non ho mai smesso di lottare
È una regola che cambia tutto l’universo
Perché chi lotta per qualcosa non sarà mai perso»
Pur apprezzando la storia e avendo scelto di proporla, non possiamo non chiedere, con un po’ di tristezza: perché si deve sempre lottare per affermarsi?
Quando sarà possibile autodeterminarsi come individui (o come popoli) senza dover combattere con tutte le proprie forze?
Irene
Rispondi