EFFETTO MATILDA, NON PIÙ INVISIBILI

In ambienti e contesti dove uno dei due generi è sottorappresentato e svantaggiato rispetto all’altro, si parla di disparità di genere; nel settore tecnico-scientifico, questo, è un problema ampiamente diffuso se consideriamo che il numero delle donne è ancora troppo esiguo rispetto a quello della controparte maschile.
Le ragioni di questo squilibrio non derivano da mancanza di capacità o meriti da parte delle donne (come ancora molti pensano), ma da un sistema socioculturale che tende a riconoscere maggiori competenze e credibilità agli uomini, privilegiando loro in percorsi di studi e carriere in ambito STEM – Science, Technology, Engineering, Mathematics.
Margaret W. Rossiter, storica della scienza, inventò un’espressione per descrivere il fenomeno di natura sessista che ha negato, e nega ancora oggi, il riconoscimento del merito femminile nella ricerca scientifica e giustifica l’attribuzione dei risultati, raggiunti da donne, ai colleghi uomini.
Attraverso dati e biografie di donne che hanno apportato significativi contribuiti alla scienza, sebbene molti non riconosciuti e dimenticati, Rossiter afferma che il sesso influisce sulla diffusione del lavoro di ricerca.
Nel 1993 questo specifico pregiudizio di genere venne rinominato, dalla storica, “effetto Matilda”, in onore di Matilda Joslyn Gage, suffragetta, del Diciannovesimo secolo, che scrisse numerosi libri e articoli sulle questioni di genere.
Matilda pubblicò nel 1870 un saggio intitolato “Woman as an Inventor” in cui affermava che alle donne per secoli è stato negato l’accesso all’istruzione, raccontando poi come diverse scoperte scientifiche ed invenzioni fossero il risultato del lavoro di donne rimaste nell’anonimato e che le poche che avevano la fortuna di esser riconosciute sono state poi dimenticate dalla storia.
Gli esempi di “Effetto Matilda” sono numerosi e molte delle scienziate rimaste nell’oblio compirono scoperte essenziali per la storia della scienza moderna come Nettie Stevens, una delle prime donne scienziato nell’ambito delle scienze biologiche.
Nettie Stevens, brillante genetista e microbiologa statunitense, fu la prima scienziata a osservare e a descrivere le differenze nei cromosomi dei gameti (cellule sessuali maschili o femminili), correlandoli con le differenze di sesso.
Attraverso lo studio dei vermi della farina, Stevens, riuscì a stabilire che lo sperma dei maschi conteneva i cromosomi X e Y, tipici del genere maschili, mente le cellule riproduttive delle femmine contenevano solo il cromosoma X.
Con la sua ricerca, dimostrò che il sesso di un organismo è determinato dal suo patrimonio genetico; la sua ricerca contribuì in modo significativo all’avanzamento nella ricerca scientifica, dando le basi a studi futuri che dimostrarono che nella specie umana, è la combinazione di due cromosomi a determinare il sesso: XX per le femmine e XY per i maschi.
Nel 1905, Nettie Stevens pubblicò i risultati delle sue ricerche e nonostante siano state le prime sul tema, il merito viene spesso attribuito a Thomas Hunt Morgan, un genetista molto noto al tempo, che lesse sicuramente gli studi di Stevens perché questa glieli spedì, chiedendogli un parere e ricevendone elogi e complimenti.
Nettie Stevens divenne così una delle prime scienziate a sperimentare sulla propria pelle il cosiddetto “effetto Matilda”, ovvero la sistematica sottovalutazione dei risultati scientifici conseguiti dalle donne.
La tendenza a sottovalutare o a sminuire i risultati scientifici conseguiti dalle donne ha avuto importanti conseguenze non solo per le scienziate cancellate dalla storia, ma anche nella percezione stessa della scienza, come settore maschile e sulla possibilità per le donne di intraprendere carriere in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica.
Le donne compongono una larga fetta della comunità scientifica, ma le loro voci negli spazi pubblici sono ancora ora sottorappresentate.
Per contrastare tale disparità di genere e promuovere la piena uguaglianza di genere nel mondo accademico nel gennaio del 2018 due ecologiste statunitensi hanno ideato la piattaforma Request a Woman Scientist, che consente a giornalisti, insegnanti, organizzatori di eventi e semplici curiosi di entrare in contatto con migliaia di ricercatrici di tutto il mondo.
Sul sito è possibile trovare più di 10.000 scienziate specializzate individuabili attraverso una serie di parametri, tra cui la posizione geografica, l’area di competenza, i titoli conseguiti e l’eventuale appartenenza a una minoranza sottorappresentata.
Questo è solo un primo passo per abbattere lo squilibrio di genere e permettere alle donne di riappropriarsi dello spazio toltogli all’interno del mondo scientifico per evitare che, nella storia futura, casi come quello di Netti Stevens o di tutte le “Matilde” dimenticate o non riconosciute, non si verifichino più.
di Alice Marmo
Un’altra donna vittima dell’effetto Matilda è stata Rosalind Franklin, scienziata inglese che nel 1952 ottenne le immagini più nitide fino ad allora della struttura completa del DNA e riuscì a stabilire che le molecole erano organizzate in forma elicoidale. Purtroppo i suoi studi non hanno trovato riconoscimento esterno, dal momento che due colleghi del suo laboratorio (James Watson e Francis Crick) utilizzarono queste immagini per pubblicare un articolo in cui rivelavano la struttura del DNA, conseguentemente vincendo il Premio Nobel per la medicina, tuttavia senza mai citare la Franklin.
Rimanendo anche nei giorni nostri, non mancano fenomeni affini all’effetto Matilda, ad esempio in ambito universitario. Quante volte infatti un ragazzo viene elogiato quando ottiene risultati fuori dalla media o con tempi record durante il suo percorso? E quante volte invece una studentessa viene appellata come “favorita” o “raccomandata” quando fa lo stesso, soprattutto in ambito scientifico? Questo fenomeno è una conseguenza della tendenza generale a sminuire i risultati conseguiti dalle donne, risultati spesso attribuiti ad altri fattori (come le risorse economiche della famiglia, l’aspetto fisico,ecc).