La storia di resilienza di 3p.
Ci sono dei posti nel Mondo, come in Italia, dove la resilienza trova un terreno difficile dove instaurarsi e viene messa a dura prova dalle fatiche e dalla forza di chi invece semina la disperazione. Questo è il caso del quartiere palermitano di Brancaccio, contesto intriso di scarti, di povertà, di problemi di salute, di scuole che faticano ad educare e persone che si trovano a vivere in una nube di incertezze e violenza quotidiana.
Brancaccio, come altri quartieri della Sicilia è costituito da strade mafiosizzate e proprio qui trova la sua dimora, Padre Pino Puglisi, sacerdote e insegnate, nato a Palermo, 15 settembre 1937 assassinato da tre sicari di Cosa nostra, che gli si pararono davanti sull’uscio di casa fingendo una rapina, mentre il quarto membro del commando, Salvatore Grigoli, gli sparava alla nuca un colpo di pistola.
Era il giorno del suo 56º compleanno, il 15 settembre 1993.
L’impegno di 3P nel quartiere di Brancaccio ha avuto inizio il 29 settembre 1990, quando venne nominato parroco della chiesa di San Gaetano, zona controllata, appunto, dalla criminalità organizzata dai fratelli Graviano, capi-mafia legati alla famiglia del boss Leoluca Bagarella.
Quello che Padre Pino Puglisi fa a Brancaccio è soltanto portare la sua vita e la sua missione al servizio dell’uomo. Nel concreto ciò che il parroco Puglisi offriva ai giovani erano concrete alternative allo sfruttamento ed al disagio sociale, anzi suscitava in essi fiducia insegnando a praticare la legalità, la giustizia, il rispetto e la nonviolenza usando la sua mitezza e il sorriso come strumenti educativi. Un sorriso donato anche ai suoi assassini, quasi a voler dire che si possono uccidere le persone, ma non le speranze delle persone.
3P è stato oltre che un grande testimone di pace e di speranza, un uomo della resilienza, perché è riuscito ad entrare in un contesto degradato e pressoché dimenticato dalle Istituzioni civiche e dai politici. Un quartiere dove le uniche parole che hanno il diritto di esistere sono paura, sottomissione e violenza.
Si capisce bene perché la resilienza e la resistenza siano invece esperienze quasi impossibili da vivere e si capisce bene, anche perché Pino Puglisi sia stato definito l’uomo della resilienza.
Perché è riuscito a seminare un segno di cambiamento, uno sguardo di riscatto e di alternativa.
È riuscito a seminare anelito di vita in quei ragazzi che fino ad allora si credevano “morti”.
Alessia Saini
Rispondi