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La mafia uccide, il silenzio pure. La memoria indelebile di Peppino Impastato

23 Maggio 2024
La mafia uccide, il silenzio pure. La memoria indelebile di Peppino Impastato

«Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! 

Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! 

Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! 

Noi ci dobbiamo ribellare… prima che sia troppo tardi! 

Prima di abituarci alle loro facce! 

Prima di non accorgerci più di niente!»

Queste le parole pronunciate da Luigi Lo Cascio nella sua interpretazione di Peppino Impastato nel celebre e pluripremiato film “I cento passi”. 

E’ difficile pensare che prima del film di Marco Tullio Giordana la figura di Peppino Impastato e della sua lotta sia rimasta quasi del tutto sconosciuta al grande pubblico, come tanti morti per mano mafiosa prima di lui. 

Quella di Peppino Impastato, però, non è una figura come le altre, la sua lotta incessante nel voler raccontare e denunciare in modo chiaro e comprensibile a tutti l’intreccio tra mafia e politica presente nella sua Cinisi e non solo, ha fatto sì che ancora a 46 anni dalla sua morte vi siano folle di persone a celebrare questo anniversario cantando e ballando. “Perchè la storia di Peppino è la storia di una vittoria che va celebrata con allegria, una storia fatta di ribellione, di ricerca e conferma della verità attraverso la giustizia”, come affermano i suoi amici.

Per comprendere, però, fino in fondo ciò che rappresenta la lotta di Peppino Impastato per la nostra storia è indispensabile conoscere il contesto storico e territoriale nel quale ha vissuto e al quale ha cercato di dare una svolta attraverso le sue battaglie. 

Nato a Cinisi nel 1948 in una famiglia immischiata in faccende mafiose, Peppino già dall’adolescenza si approccia al mondo della politica e in particolare al Partito Comunista spinto da un’esigenza emozionale, come lui stesso la definisce, scaturita proprio da una voglia di reagire a una condizione familiare ormai divenuta insostenibile” dovuta al padre, capo di un piccolo clan mafioso e membro di un clan più grande, che sin dalla nascita aveva tentato di imporgli le sue scelte e il suo codice comportamentale. 

Questo mondo fatto di violenza, prepotenza e ingiustizia a Peppino sta stretto e le idee della nuova sinistra di quel tempo, che individuano la mafia non più solo come una generica organizzazione criminale ma come un “nemico di classe”, lo spingono a prender parte ai movimenti studenteschi del ‘68 e alle lotte dei piccoli proprietari terrieri contro le espropriazioni per la costruzione dell’aeroporto di Punta Raisi organizzando manifestazioni e facendo resistenza pacifica. 

La sua voglia di non tacere e di “educare alla bellezza” gli abitanti di Cinisi fornendogli un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà, contro la facilità nell’abituarsi “alla vista di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative…” e affinchè “…in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione e rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”, lo porta alla creazione di un piccolo circolo culturale, “Musica e cultura”, e in seguito a quella di Radio Aut. Una radio indipendente attraverso la quale denuncia apertamente in maniera satirica i rapporti tra mafiosi e amministratori locali, con al centro soprattutto il clan Badalamenti, il traffico di droga e la speculazione edilizia.

Purtroppo, questa continua spregiudicatezza nel fare nomi e cognomi dei responsabili di questi crimini, e soprattutto il grande seguito che si crea attorno “Onda Pazza” il programma radiofonico che conduce,  lo porta a venir ucciso nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978.

Il suo corpo ritrovato nelle stesse ore del cadavere di Aldo Moro porterà gli inquirenti dell’indagine a liquidare l’accaduto come un fatto terroristico e a dare inizio ad una implacabile ricerca di verità da parte della madre Felicia, del fratello Giovanni e degli amici di Peppino. Ricerca che troverà fine quasi 30 anni dopo con la condanna degli esecutori e soprattutto dei mandanti, tra cui Gaetano Badalamenti, detto Tano, boss del clan mafioso di Cinisi, e con la relazione formulata dalla Commissione parlamentare antimafia che ha fatto luce sulle responsabilità di rappresentanti delle forze dell’ordine e della magistratura nel coprire esecutori e mandanti.

Molte ancora oggi sono le persone impegnate a portare avanti la memoria di Peppino Impastato, una memoria che non lo vede solo come un nemico e vittima della mafia, ma come un ribelle, un giornalista che racconta e invita a non accettare verità preconfezionate, a non tacere solo perché il “nemico” è il vicino di casa a cento passi da te, o persino tuo padre, ma a portare avanti le proprie lotte e non arrendersi neanche davanti alle continue minacce.

Peppino Impastato ha lottato non solo per Cinisi, ma per tutti noi, affinché non ci si giri più dall’altra parte e gli occhi rimangano ben aperti per poi denunciare le ingiustizie che ci vengono propinate come “normalità”.

Per la redazione

Sara Palumbo

Modena City Ramblers – I Cento Passi

La storia di Peppino Impastato, martire della lotta contro il crimine organizzato. Premio per la migliore sceneggiatura nell’edizione 2000 della Mostra di Venezia. Cinque David di Donatello e un Nastro d’Argento nel 2001

https://www.raiplay.it/video/2023/05/I-cento-passi-c7718735-579d-4ab7-92b3-99f43b104832.html

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